Un’intervista che mi ha fatto Laura Fois su L’Universale.

La ringrazio.

In un’intervista via mail, il poeta spazia dall’arte alla situazione della cultura e della politica in Italia, mettendo due generazioni a confronto…

Se Serge Pey l’ha definito “uno fra i maggiori testimoni della poesia contemporanea”, per Jack Hirschman è “un poeta dell’esortazione, un anarchico con coscienza di livello culturalmente internazionale, ed una produzione di tale ispirazione e tanto catalisticamente avanti da essere progenitrice come lo sono stati Antonin Artaud in Francia e Julian Beck con il Living Theater negli U.S.A”. Alberto Masala non ha certo bisogno di presentazioni se non fosse tanto acclamato internazionalmente quanto sconosciuto in patria. Restio a pubblicare libri (anche se alla fine l’hanno convinto), testardo cultore e difensore della poesia orale in quanto sardo. “Non dimentico mai”, scrive nel suo blog, di provenire da una società che si è mantenuta attraverso la produzione orale”. Masala appartiene poi alla Beat Generation, perché la sua è anche poesia di rottura. Ha tradotto racconti inediti di Kerouac; di Hirschman e di Gregory Corso è un grande amico. Ad aprile di quest’anno, il suo capolavoro, “Alfabeto di strade (e altre vite)”, è stato mandato in ristampa a un anno dalla sua uscita. Negli Stati Uniti è andato a ruba. Alberto Masala è un poeta che vive di scrittura.
Di scrittura? La prima domanda mi è sorta spontanea, nella nostra lunga corrispondenza via mail. E anche se lui mi ha risposto dalla tastiera di un pc, a me è sembrato di non averle lette queste sue parole che seguono, ma di averle ascoltate. Perché ogni parola del poeta è voce, essenza che si propaga in chi non ha voce, e alfabeto di comunicazioni e significati che ti entrano in testa e restano, come la colonna sonora delle nostre vite.
Ancora »

In rete ho trovato una bella intervista a Beppe Ramina, che dice molto e con chiarezza sull’impegno etico e politico. Beppe è un vecchio amico che non si è mai dimesso dalle proprie responsabilità e, dopo tanti anni, fa piacere ritrovarlo intatto. Parla dell’omosessualità in relazione con la politica, un discorso che oggi si sente fare molto raramente.
Io sono un “etero-militante”, ma vorrei vantarmi di essere stato uno dei primi a varcare la soglia del Cassero, lo storico centro di cultura ed incontro omosessuale a Bologna, ed aver partecipato come artista (sempre etero) al Gay Pride
Bei tempi, quando l’esigenza di liberazione ci affratellava e assorellava tutti. Sapevamo con certezza che quelle non erano battaglie ‘di genere’, ma solo etiche, umane…
Si faceva politica nel modo più divertente che si possa immaginare. Ci eravamo liberati del peso dell’ideologia per trasformarla in ideale, in idea etica, e, soprattutto, in pensiero del quotidiano.

Cito alcuni passaggi dell’intervista a Beppe.
Qui per continuare a leggerla tutta…

« (….) Al di là del rapporto con i partiti, mi pare che sia l’adozione stessa di categorie politiche a indebolire l’energia che avrebbe il pieno dispiegarsi del discorso delle sessualità dei generi, delle omosessualità, del nomadismo identitario. Penso che all’origine della debolezza di visione ci sia qualcosa che affonda nella cultura, che ha a che fare con l’introiezione del pregiudizio omofobico. Da qui un’idea minoritaria di noi stessi, come comunità di persone e come singoli individui; la convinzione, declinata in vari modi, di essere una minoranza e non una parte della società. Agisce altrettanto negativamente la radicata ed estesa convinzione che esistano per davvero persone eterosessuali e persone omosessuali – e che non siano costruzioni sociali – e che il nomadismo erotico e affettivo non sia l’orizzonte di riferimento. Infine, la percezione diffusa di essere vittime e non protagonisti. (….)»

«Le premetto che non sono d’accordo con chi pensa che i successi a livello istituzionale siano la misura della nostra forza e del nostro benessere. Nel momento in cui siamo protagonisti della nostra vita e della nostra storia abbiamo già ottenuto la sostanza di ciò che ci serve: la mia serenità e la mia libertà, anche di lottare, non dipendono dalle concessioni dello Stato o del Vaticano, ma dal darmi valore e agire in autonomia (….)».

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CAMPAGNA “Y€S, WE CASH!”
per il reddito minimo garantito

Questo blog nasce come strumento comunicativo utile per condividere informazioni, documenti, riflessioni con tutti coloro che sono interessati alla campagna “Y€s we cash!” per promuovere una legge regionale sul Reddito Minimo Garantito in Emilia Romagna.

Città in cui è presente: Bologna, Rimini, Parma, Reggio Emilia.

azione in consiglio regionale

bartleby è tornato a casa
audiocomunicati e informazioni su zic.it

Il viaggio intrapreso con il primo album Posthudorra in Casthurina continua nel secondo, Resuggontu dove il titolo stesso (Resoconto) gioca su un doppio significato, sottolineando da una parte il rendersi conto della situazione a livello globale con tutte le sue contraddizioni, e dall’altra il farsi carico della responsabilità di trasportarlo in rima facendo un vero e proprio resoconto della situazione.

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Az.Namusn.Art, dove l’arte non rassicura le coscienze

(articolo uscito su “La Nuova Sardegna” dell’11 giugno 2009)

Quando Joseph Beuys mise il pubblico ed i critici davanti ad un mucchio di sabbia, sapeva di compiere un gesto sovversivo, come sovversiva può essere soltanto una cultura che apre nuovi spazi di visione dimettendosi dalle convenzioni dello sguardo consolidato e rassicurante. In quello storico momento l’opera veniva definitivamente sottratta ad ogni possibilità di gestione da parte del sistema dell’arte, mettendo i critici davanti alla loro stessa impotenza. Un mucchio di sabbia non poteva essere bello o brutto… era un mucchio di sabbia, quindi non poteva essere posseduto, venduto, acquistato, collezionato…. Anche trasportarlo o riproporlo uguale sarebbe stato impossibile: la mancanza di un solo granello ne avrebbe minato la sua feticistica riproducibilità tecnica. Salvandola così dal giudizio estetico, sottraendo l’opera alla sua mercificazione, Beuys da allora ci ha costretti in uno spazio più esteso che non quello della rappresentazione formale: appare con lui il territorio concreto dell’intelligenza, il pensiero contenuto nel gesto d’arte che ci riconsegna intatta la responsabilità di osservatori sull’essenza della vita, la nostra posizione sulla terra che ci accoglie.

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>senza parole riporto questo triste comunicato

Sabato 14 febbraio alle ore 16
critical mass silenziosa a lutto
Piazza Nettuno, Bologna

Domenica 8 febbraio in via Saragozza angolo via Audinot alle ore 21,30 Paride è stato investito e ucciso da un SUV guidato da un ventenne che era sulla preferenziale. La notizia è qui.

Nel frattempo ci son stati altri due investimenti mortali in provincia di Bologna.

Paride Emiliano Idda era un ragazzo sardo di 24 anni, uno studente di Sassari, un fumettista appassionato di pittura che frequentava la ciclofficina e lo spazio sociale autogestito XM24 a Bologna. Giovedì 12 febbraio alle ore 12 sul luogo dell’incidente un gruppo di ciclisti ha appeso questo striscione


Nella serata di Domenica 8 febbraio 2009 Paride pedalava su via Saragozza quando è stato travolto e ucciso da un SUV. E’ l’ennesimo ciclista morto a Bologna, città che in soli due anni ha visto morire sulla sella ben cinque persone, tutte vittime del traffico motorizzato. Il vocabolario certamente non riesce ad esaurire tutto ciò che solo un doloroso silenzio potrebbe suggerire. E non sta a noi fare la cronaca di una morte che, mentre ammutolisce in quanto esseri umani, costringe tutti a non poter più tacere. Perché di nuovo, ancora, essa è l’estrema ma già nota conseguenza di una situazione che vede l’automobile rivelarsi come l’emblema di una cultura occidentale votata all’auto distruzione.

A Bologna di tutto questo se ne fa esperienza quotidiana. A nulla servono le mosse ridicole di quegli amministratori che vogliono rifarsi il trucco spacciando Bologna come città della bicicletta, Bologna ciclabile, Bologna va in bici e altre formulette per l’evenienza, perché così, drammaticamente, non è. Rifiutiamo indignati queste mascherate opportunistiche, poiché esse offendono sfacciatamente chi ogni giorno sceglie criticamente, sui propri pedali, di affrontare una città congestionata per tentare di ritrovarla, per reinventarla, per amarla. E prontamente gli avvoltoi mediatici sono scesi in picchiata sulla preda, per trarne desertificanti verità preconfezionate, ma che sappiamo ormai essere già da tempo scadute. Il collegamento, ad esempio, assolutamente ideologico, fra presunta ebbrezza del guidatore, mancato rispetto delle regole stradali e morte. Sappiamo invece che sul castello di carta della famigerata “sicurezza stradale” (formula tanto in voga quanto vacua) sta in bilico una società che, suo malgrado, sconta ogni giorno gli effetti e le conseguenze della secolare mitologia del “progresso”

che si è abbandonata totalmente alla Macchina, in un delirio fideistico risoltosi ben presto in dipendenza distruttiva da conflitti armati per il controllo di territori, persone e risorse energetiche

che ha preso la forma di asfissianti realtà urbane nelle quali vige la più selvaggia norma del “si salvi chi può”

che in mezzo alle nebbie dello smog urbano si dibatte convulsa, evitando di voler riconoscere se stessa in una morte che è sempre stata già lì, per terra, sull’asfalto quotidianamente unto dall’indifferenza.

per saperne di più visita i siti:

ecco il comunicato del Teatro delle Celebrazioni per la festa-concerto che servirà a finanziare il viaggio per i giovani che vogliono tornare in Sardegna a votare per le prossime elezioni regionali.

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Paolo Fresu, Ludovico Einaudi, Marcello Fois, Alberto Masala, Michela Murgia, Alessandra Berardi, Bruno Tognolini… sono solo alcuni dei protagonisti dell’evento di lunedì 9 Febbraio, alle 21, al Teatro delle Celebrazioni. Scopo della serata è raccogliere fondi per finanziare il viaggio per la Sardegna degli studenti e lavoratori sardi chiamati alle urne e che si riconoscono nella coalizione di Renato Soru.
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Una festa-concerto a sostegno di Renato Soru, candidato del centrosinistra alla presidenza della Regione Sardegna, si terrà lunedì 9 febbraio a Bologna, al Teatro delle Celebrazioni – via Saragozza 234. La serata, con inizio alle 21, è promossa dal comitato Bologna per Soru e dal comitato elettorale del candidato presidente, con la collaborazione del Teatro delle Celebrazioni. Ideatore e protagonista dell’evento Paolo Fresu, il più noto artista sardo, bolognese d’adozione da molti anni; con lui sul palco un altro artista molto apprezzato nella scena musicale italiana, il pianista Ludovico Einaudi, che col trombettista di Berchidda ha instaurato da qualche anno un fruttuoso sodalizio. La serata sarà poi arricchita da alcuni interventi di poeti e scrittori sardi: Marcello Fois, Alberto Masala, Alessandra Berardi, Bruno Tognolini (anche loro come Fresu bolognesi d’adozione), Michela Murgia.

L’ingresso alla serata è ad offerta libera

Scopo dell’iniziativa è raccogliere fondi per finanziare il viaggio elettorale dei molti studenti e lavoratori sardi emigrati a Bologna, ma ancora residenti in Sardegna, che intendono rientrare nell’isola per contribuire alla rielezione di Renato Soru alla presidenza della Regione; a tal proposito è stato organizzato un viaggio in pullman (partenza venerdì 13) per accompagnare gli elettori fino al porto di Livorno, all’imbarco navale per Olbia. Dalla città gallurese partirà poi, nella mattina di sabato 14, il collegamento, con tappe intermedie, verso Cagliari, per portare a destinazione coloro che abitano nel sud dell’isola. Renàutobus, come è stato scherzosamente ribattezzato, partirà da Bologna nel primo pomeriggio; il contributo richiesto ai partecipanti è di 20 euro, comprensivi del biglietto in nave (passaggio ponte).

Il Renàutobus è un’idea di “Bologna per Soru”, gruppo nato spontaneamente su Facebook per sostenere la riconferma di Renato Soru. Parola d’ordine del gruppo, che ha avuto il piacere di ospitare lo stesso Soru a Bologna nella giornata di martedì 3 in un affollato incontro alle Scuderie di Piazza Verdi, è “torramus pro votare, votamus pro torrare”. Lo slogan (torniamo per votare, votiamo per tornare) cita in limba (lingua) il più importante provvedimento della giunta Soru in materia di istruzione (il Master&Back), ed esprime gli scopi pratici e immediati del gruppo ma anche, in termini generali, la sua ragione fondativa.

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Ed ecco alcuni stralci del documento di Bologna per Soru:

«Quante volte avete simpaticamente preso per i fondelli i vostri amici costretti ad avere come proprio rappresentante, tanto per non fare nomi, un Cuffaro, un Loiero, un Fitto o un Formigoni? Volete, per i prossimi cinque anni, esser costantemente accostati ad un Ugo Cappellacci qualunque? Non si tratta della scelta oziosa tra due schieramenti contrapposti ma simili, come ormai (troppo) spesso accade nelle elezioni nazionali e locali. A contendersi la guida della nostra Regione per i prossimi cinque anni non sono solo due persone diverse, sono due visioni differenti “d’intendere e volere” la Sardegna: da una parte quella dei sardi, dall’altra quella di un piazzista brianzolo. Nemmeno tanto simpatico».

«Solo con la riconferma della coalizione di centro-sinistra guidata da Renato Soru si potranno creare i presupposti perché aumentino le possibilità che i tanti sardi che come noi sono stati costretti a emigrare per motivi di studio o lavoro possano un giorno tornare a studiare e lavorare in Sardegna, se lo vogliono, per contribuire con l’esperienza, la professionalità, le conoscenze acquisite fuori dall’isola al miglioramento delle condizioni di vita loro e di tutti i sardi, senza che siano costretti a passare tutta una vita da emigrati: votamus (a Soru) pro torrare, dunque».

il gruppo Bologna per Soru è su Facebook
mail:bolognapersoru@gmail.com

buona notizia n.1

Non si può certo dire che io sia indulgente nei confronti delle Chiese e di quella cattolica in particolare. Ma il cuore e lo spirito possono manifestarsi ovunque… perfino dove non sono abituato ad aspettarlo. E con parametri altissimi rispetto alla media. Dunque è con grande rispetto e contentezza che vi segnalo MISNA, un sito intelligente e fuori dal coro. Pregano, ma non solo: parlano ed agiscono con chiarezza e coraggio. Per dirgliela col loro linguaggio: “Che siano benedetti”. Ce ne fossero! Me l’ha rivelato la forza e l’onestà di un’intervista a Padre Manuel Musallam, unico sacerdote cattolico della Striscia di Gaza, raggiunto dalla MISNA nella sua parrocchia della Sacra Famiglia.
Notevole davvero.

buona notizia n.2

c’è la rete ECO, ebrei contro l’occupazione, con un bel comunicato, a dimostrare che la questione non entra affatto con l’essere ebrei o altro, ma nasce dalla destra sionista.
Per quanto mi riguarda, avrebbe potuto essere la destra australiana, italiana, russa o giapponese… gli israeliani che oggi aggrediscono Gaza sono fascisti, ma non in quanto ebrei. Un colpetto alla pericolosissima imbecillità di chi ancora assegna agli ebrei, agli arabi, a qualsiasi popolo la responsabilità dei mali del mondo.

buona notizia n.3

Intanto in Israele si moltiplicano le manifestazioni, ed i media ignorano il movimento di protesta. A Tel Aviv il 26 dicembre convocata dalla “Coalizione contro l’assedio di Gaza”. Quella spontanea del 27 a Jaffa ed in una dozzina di città e villaggi in Cisgiordania. Una marcia di protesta e più di un migliaio di Ebrei e di Arabi a Tel Aviv, che si sono scontrati con la polizia davanti al Ministero delle Difesa. E il 28 nel villaggio di Ni’ilin, dove l’esercito ha aperto il fuoco sui giovani che lanciavano pietre, uccidendo un manifestante di 22 anni e lasciandone un altro di 20 anni in fin di vita. La sera stessa un’altra a Tel Aviv con questi striscioni: Intervento internazionale ora e Israeliani e Palestinesi sono contro la guerra. Lunedì 29 centinaia di studenti dei campus di Tel Aviv, Haifa e Gerusalemme sono scesi in piazza. Altri davanti all’ambasciata egiziana di Tel Aviv per protestare contro il silenzio e la collaborazione dell’Egitto. Ancora nei giorni successivi manifestazioni, scontri con la polizia ed arresti sono continuati e continuano.
Dunque che ne dite? Non sono ebrei anche loro? Ripeto fino allo spasimo: parlare di ebrei invece che di destra sionista è menzogna, crederci è da imbecilli.
Ciò che continua a convincermi invece è la completa malafede degli artisti, scrittori e intellettuali che ai tempi del salone di Torino si affrettarono a schierarsi, oggi tacciono…

buona notizia n.4

fonte originale RebELLEs:
Gruppi di donne ebree canadesi del collettivo Toujours RebELLEs stanno attualmente occupando il consolato israeliano al 180 di Bloor Street West di Toronto per protesta contro l’aggressione di Israele sugli abitanti di Gaza.
I gruppi stanno continuando questa occupazione in solidarietà con il milione e mezzo di persone di Gaza e per assicurare che la voce degli ebrei contro il massacro in atto a Gaza è forte. Chiedono a Israele la fine dell’aggressione militare e dell’assedio alla striscia di Gaza e la garanzia che seguano interventi umanitari in quel territorio.

continua a leggere in italiano sul sito femminismo a sud.

>gente non tutelata

comitati per l’ambiente… contro le basi… circoli culturali… circoli politici… associazioni… gruppi di consumo responsabile… cantieri sociali… pacifisti… collettivi di donne… comitati spontanei… persone…

Se queste persone, questi gruppi, accomunati da un’etica e una coscienza, sostengono una candidatura per le prossime elezioni, significa che gli riconoscono capacità rappresentativa, intelligenza politica, affidabilità…

Se questo candidato nella precedente legislatura risulta essere il più presente in Parlamento fra gli eletti in Sardegna, è evidentemente il più sensibile alle problematiche del territorio che rappresenta, il più infaticabile sostenitore delle istanze che vengono dal basso

Se tutto questo ha un valore politico, etico, umano… non si capisce come si possa correre il rischio che la formazione politica che nel programma rivendica proprio questi valori non lo voglia ricandidare. Dovrebbero esserne fieri. Dovrebbero considerarsi fortunati di poter sostenere la scelta di una così ampia, varia, importante aggregazione di elettori… molti dei quali non voterebbero altrimenti.

La formazione è la Sinistra Arcobaleno
il candidato è Mauro Bulgarelli
(qui per il suo sito)

Non volerlo ricandidare sarebbe uno stupido errore:

etico, calpestando la volontà di chi immagina un diverso modo di costruire la vita
politico, eliminando dal Parlamento una voce chiara e competente espressa da un territorio
tecnico, interrompendo un prezioso lavoro cominciato nella legislatura precedente
strategico, allontanando dal voto realtà responsabili e vive nell’azione sociale

per sostenerlo si è costituito spontaneamente il comitato Unità Dal Basso con un appello al quale ho dato la mia adesione

06. Febbraio 2008 · Commenti disabilitati su boicottare Israele? direi di sì… · Categorie:attivismo, blog news, nel sociale · Tag:, , , ,

conosco personalmente e stimo Aharon Shabtai: pochi mesi fa eravamo insieme a San Francisco invitati da Jack Hirschman. Credo che sia importante, in questo momento in cui si discute del boicottaggio di Israele al Salone del libro, ascoltare la sua voce.
Ho preso
l’intervista fatta da Michelangelo Cocco per il Manifesto e la riporto qui integralmente.

«È un’occasione di propaganda, per questo io, israeliano, non sarò al Salone di Parigi» – Il poeta Aharon Shabtai declina l’invito a partecipare all’evento culturale francese e accusa la deriva di destra del suo paese, che solo un intervento dell’Europa potrà arginare
Per le sue traduzioni dei Tragici, dal greco classico all’ebraico moderno, gli fu attribuito nel 1993 il Premio del primo ministro israeliano. Era il periodo del processo di pace di Oslo e Aharon Shabtai credeva che il governo fosse intenzionato a fare la pace con i palestinesi. Accettò l’ambìto riconoscimento. Qualche settimana fa invece il poeta, uno dei più famosi nello Stato ebraico, ha declinato l’invito rivoltogli a partecipare al Salone del libro di Parigi. Nato nel 1939 a Tel Aviv, autore di una ventina di raccolte di poesie e conosciuto all’estero soprattutto per «J’accuse» – in cui si scaglia contro il governo e la società del suo paese – è uno dei più radicali nella pattuglia di intellettuali «dissidenti». Secondo Shabtai, che ha risposto al telefono alle domande del manifesto, lo Stato ebraico sarebbe in preda a una deriva di destra che potrebbe essere arginata solo da un intervento dell’Europa, il Continente dei Lumi che dovrebbe aiutare «l’apartheid israeliana» a compiere una svolta come quella impressa al Sudafrica dall’ex presidente De Klerk.

Aharon Shabtai, perché ha rifiutato l’invito di Parigi a partecipare al Salone del libro?
Perché ritengo che si tratti di un’occasione di propaganda, in cui Israele si metterà in mostra come uno Stato con una cultura, dei poeti, ma nascondendo che in questo momento sta compiendo dei terribili crimini contro l’umanità. Lo stesso presidente Shimon Peres, responsabile del massacro di dieci anni fa a Kfar Kana (in Libano), parteciperà. Per me sarebbe stato impossibile andare a leggere i miei testi a Parigi.

Qual è l’immagine dell’altro – del palestinese – riflessa dalla letteratura israeliana?
Nel sionismo – uno dei frutti del nazionalismo dell’800 – c’erano elementi positivi: l’idea che gli ebrei, reduci dalle persecuzioni in Europa, venissero qui in Israele acquistando libertà e indipendenza. Ma ora ci siamo trasformati in uno stato coloniale, con i giornali che fanno propaganda razzista contro gli arabi e i musulmani. Siamo un popolo avvelenato da questa propaganda. La maggior parte della letteratura «mainstream» è completamente egocentrica: non è interessata all’altro, rappresenta la vita della borghesia e si occupa di problemi psicologici. La nostra letteratura non ha a cuore i problemi morali cruciali di questo momento storico. Si configura soprattutto come intrattenimento borghese. In questo contesto la maggior parte degli scrittori si dichiara in termini generali «per la pace», ma quando c’è da prendere una decisione per fare qualcosa di «aggressivo» si schiera col governo, come durante l’ultima guerra in Libano, quando Yehoshua, Grossman e Oz hanno scritto sui giornali che si trattava di un conflitto giusto. All’estero dipingono l’immagine di un Israele liberale, ma sono parte integrante del sistema.

Ma il governo israeliano è ufficialmente impegnato in colloqui di pace con l’Autorità nazionale palestinese e ammette l’urgenza di dare ai palestinesi uno stato, anche se solo in una parte del 22% della Palestina storica.
Il problema non è lo Stato, ma la terra. Qui i giornali ne parlano apertamente, ogni giorno, molto più che in Italia e in Europa: gli insediamenti, la confisca di territorio, il controllo dell’acqua da parte delle autorità israeliane aumentano di giorno in giorno. Questi sono i fatti, molto diversi dalla propaganda utilizzata dal governo: i palestinesi non hanno più un territorio.

Che significato ha per lei il 60° anniversario della fondazione dello Stato ebraico?
Dopo sessanta anni ci troviamo di fronte a un bivio: o continuare a essere uno stato coloniale e proseguire con la guerra, mettendo seriamente in pericolo il futuro d’Israele perché – non dobbiamo dimenticarlo – viviamo in Medio Oriente, non in California. L’alternativa è fare come (l’ex presidente sudafricano) De Klerk: invertire la rotta e provare a dare ai palestinesi pieni diritti sulla loro terra, cercando di creare un uovo sistema di pace. Altrimenti non sopravvivremo né da un punto di vista morale, né come stato, perché la guerra si espanderà a tutto il Medio Oriente.

Alcuni gruppi della sinistra italiana sono pronti a boicottare la Fiera del libro di Torino, mentre la sinistra istituzionale si oppone perché, sostiene, il boicottaggio va contro i principi stessi della cultura, provoca reazioni negative e gli intellettuali non sono responsabili delle azioni dei loro governi.
Quello che affermano è assurdo: durante il periodo hitleriano o durante l’apartheid intellettuali come Brecht e tanti altri si univano per combattere il fascismo e il segregazionismo. Gli intellettuali, assieme alle organizzazioni di base, contribuirono alla fine dell’apartheid. Gli intellettuali – che devono essere liberi – dovrebbero partecipare al boicottaggio. Un aiuto dall’Europa, che boicotti Israele non in quanto tale, ma in quanto establishment politico militare che sostiene l’occupazione, è l’unica possibilità di salvare i palestinesi e noi, gli ebrei d’Israele.

Da dieci anni, dal tramonto del movimento pacifista, siete fermi a un migliaio di «dissidenti» che manifestano contro la guerra. Perché non riuscite a raggiungere un’audience più ampia?
Perché in Israele tutte le televisioni e tutti i giornali educano la gente al nazionalismo, con un lavaggio del cervello quotidiano. Ora sono seduto, qui nel mio appartamento, e posso sentire distintamente il mio vicino che sta dicendo: «Gli arabi non sono un popolo, sono barbari, avremmo dovuto colpirli con la bomba atomica». Quello che afferma l’ha imparato dai mass media, che creano panico e rabbia mentre i politici collaborano con l’establishment militare. Viviamo in una situazione orwelliana: ogni giorno la tv ripete quanto sia terribile vivere a Sderot, dove quasi nessuno viene ucciso. A due passi dalla cittadina israeliana c’è l’inferno di Gaza, che è diventata un ghetto.

Ma cosa possiamo augurarci in un futuro prossimo?
Io spero nell’aiuto degli europei, che i discendenti di Voltaire e Rousseau aiutino Israele, perché Israele non finirà l’occupazione fin quando l’Europa non gli dirà «basta», perché Israele dipende dall’Europa e dagli Stati Uniti. Solo una pressione da parte dei paesi civili e democratici può cambiare la situazione e riportarci la felicità. La situazione attuale – in cui a dettar legge è l’esercito – non può essere cambiata dall’interno. Per i valori di cui è portatrice, l’Europa non può continuare a collaborare con Israele. Io spero che in un anno o due l’Europa possa cambiare rotta.