Il 6 settembre del 1995, inghiottito dal mare come l’amato Fleba il Fenicio, Sergio Atzeni perdeva la vita nelle acque dell’isola di Carloforte. Sardo, appena quarantenne, era stato militante comunista, anarchico leader studentesco, impiegato insoddisfatto, sindacalista, pubblicista. Dopo la fuga dall’isola, tra l’Emilia e Torino, divenne correttore di bozze, lettore di manoscritti per case editrici, sontuoso traduttore – un testo su tutti: Texaco di Patrick Chamoiseau. Per tutta la vita fu intellettuale rigoroso, poeta e scrittore immaginifico, autore di romanzi-mondo come Apologo del giudice bandito, Il figlio di Bakunìn, Il quinto passo è l’addio, Passavamo sulla terra leggeri, e di una cascata di racconti tra cui Il demonio è cane bianco, I sogni della città bianca, e Bellas mariposas.
Come nel Figlio di Bakunìn, pensando oggi a Sergio, ci chiediamo: che cosa resta di uno scrittore, dopo la sua morte, nella memoria e nelle parole altrui?
Per rispondere a questa domanda, abbiamo invitato degli autori legati all’opera di Atzeni a dare nuova vita ai personaggi o ai luoghi o alle atmosfere della sua opera. Interpretando, riscrivendo, stravolgendo creativamente, in totale libertà. Un coro di voci diverse per una raccolta di racconti brevi, una rifrazione e moltiplicazione di frammenti post-atzeniani.
Nasce così il gioco del discanto*, da intendere sia come far decantare delle buone pagine in nuove storie sia come costruzione di voci in forma di polifonia medievale.
Susan Abulawa è una scrittrice nata nel 1970 in Palestina, che oggi ha la cittadinanza statunitense. Ecco una breve scheda biografica che ho trovato sul sito IBS.
Susan Abulhawa, cittadina americana, nasce da una famiglia palestinese in fuga dopo la Guerra dei Sei Giorni e vive i suoi primi anni in un orfanotrofio di Gerusalemme. In seguito abita in diversi paesi, tra cui anche il Kuwait e la Giordania. Si laurea in scienze biomediche all’Università della South Carolina ed ebbe una brillante carriera nell’ambito delle scienze mediche. Autrice di numerosi saggi sull’argomento, per cui è stata insignita nel 2003 del premio Edna Andrade, relatrice a diversi convegni e attivista in ambito umanitario, ha fondato l’associazione Playgrounds for Palestine, che si occupa soprattutto dei bambini dei Territori Occupati. Vive in Pennsylvania. I suoi articoli sulla situazione palestinese sono apparsi su numerose riviste, tra le quali «New York Daily News», «Chicago Tribune», «Christian Science Monitor» e «Philadelphia Inquirer». Nel 2006 Sperling & Kupfer pubblica il suo romanzo Nel segno di David. Per Feltrinelli pubblica nel 2011 Ogni mattina a Jenin, nel 2015 Nel blu tra cielo e mare e nel 2020 Contro un mondo senza amore.
“Se i palestinesi avessero passato gli ultimi 80 anni a rubare le case degli ebrei, cacciandoli, opprimendoli, imprigionandoli, avvelenandoli, uccidendoli, torturandoli e stuprandoli. Se i palestinesi avessero ucciso circa 300.000 ebrei in un anno, preso di mira i loro giornalisti, pensatori, operatori sanitari, atleti, artisti. Se i palestinesi mandassero in giro i loro figli a piedi nudi con le scodelle vuote, e gli facessero raccogliere i brandelli dei propri genitori in sacchetti di plastica, seppellire i propri fratelli, cugini, amici. Se gli facessero desiderare di morire, solo per riunirsi alla propria famiglia e non dover rimanere soli in questo mondo terribile. Se li terrorizzassero a tal punto che i loro figli perdono i capelli, perdono la memoria, perdono la ragione. Se il mondo stesse guardando in diretta TV il sistematico annientamento degli ebrei in tempo reale, non ci sarebbe alcun dibattito fatto se si trattasse o meno di terrorismo o genocidio. Non capirete mai la sacralità degli ulivi, che avete tagliato e bruciato per decenni solo per cattiveria, solo per spezzare i nostri cuori ancora un po’. Nessun indigeno di quella terra oserebbe mai fare queste cose agli alberi di ulivo. I miti e il folclore di quella terra vi saranno sempre sconosciuti… Ciò che i vostri agenti immobiliari definiscono nelle loro costose inserzioni “il fascino delle antiche case arabe” conserveranno per sempre nelle loro pietre le storie e i ricordi dei nostri antenati che le hanno costruite. Gli antichi dipinti e le foto della terra non avranno mai spazio per voi, non consocerete mai i sentimenti delle masse in tutto il mondo che si riversano nelle strade e negli stadi per cantare e chiedere a gran voce la vostra libertà. E non è perché siete ebrei, come volete far credere a tutti, ma perché siete colonizzatori violenti. Pensate che la vostra ebraicità vi dia diritto alla casa che mio nonno e i suoi fratelli hanno costruito con le proprie mani su una terra che appartiene alla nostra famiglia da secoli. Potete cambiare i vostri nomi per sembrare più radicati nella regione, e potete fingere che i falafel, l’hummus e lo zaatar siano vostre antiche ricette, ma nei meandri del vostro essere sentirete sempre il morso di questa epica falsificazione. Non ci cancellerete. Non importa quanti di noi ucciderete e ucciderete e ucciderete tutto il giorno e ogni giorno. Noi non siamo le pietre da cui Chaim Weizmann pensava di poter liberare la terra. Noi siamo il suo stesso suolo. No siamo i suoi fiumi, i suoi alberi, le sue storie. Perché tutto questo è stato nutrito con in nostri corpi e le nostre vite nell’arco di millenni di continua ininterrotta esistenza su quel pezzettino di terra fra il fiume Giordano e le acque del Mediterraneo. Le leggendarie, tumultuose storie della terra fanno letteralmente parte del nostro DNA. Non potete cancellarle uccidendoci o attraverso la propaganda, non importa quale tecnologia di morte usiate. Un giorno la vostra impunità e la vostra arroganza finiranno. La Palestina sarà libera. E tornerà alla sua gloria multireligiosa, multietnica e pluralista. E voi ve ne andrete, o imparerete finalmente a convivere alla pari con gli altri. Grazie”
Con una breve nota, precedendo qualsiasi cretino volesse portarmi su quel terreno, affermo fortemente che io non sono né antisemita, né tantomeno anti-israeliano. Casomai anti-sionista, che è ben altra cosa. Come essere antifascista non significa essere anti-italiano. Pensate: ho addirittura amici ebrei, ma intelligenti, colti, antifascisti e antisionisti.
A scanso di equivoci, voglio ricordare che:
1. i Palestinesi sono SEMITIcome e più degli ebrei.
2. la trovata (geniale) dell’antisemitismo è dell’allora ambasciatore Abba Eban che propose di rifugiarsi in questa accusa ogni volta che qualcuno criticava le azioni di Israele. In particolare è stata usata efficacemente dopo il massacro di Sabra e Shatila.
3. Concludo dicendo che per me, ateo, la Bibbia degli ebrei è come il Mein Kampf di Hitler. Perché un libro che racconta di un Dio che dice al suo popolo: “questa è la tua terra” e lo autorizza a sterminare chi ci abita legittimamente, è oltre ogni commento.
Diventa pubblico, grazie a Catartica Edizioni, una piccola parte del progetto che, per alcuni di noi, è un lavoro che va avanti da sempre.
Una Cantada
Come scriviamo nella presentazione, “attraverso forme di poesia popolare (letras flamencas, poesia logudorese, zirudele bolognesi) non vogliamo riprodurre un semplice esercizio retorico di “andata al popolo” o di riproposizione della tradizione.
La voce critica in tutte queste tradizioni poetiche oggi è spesso colpevolmente evitata o taciuta per l’adesione a un certo conformismo sociale o a quella forma di autoesotismo funzionale alla promozione commerciale e turistica. Ma è proprio questa voce critica che la poesia non può trascurare.
Gh’era na volta Piero s’involta Casca la süca Piero s’insüca…
di Alberto Masala (poesia logudorese),Lorenzo Mari (zirudele bolognesi), eSu Mal Espantaalias David Eloy Rodríguez e José María Gómez Valero (letras flamencas).
Cuidado con los vigilantes, que a ninguno de ellos les gusta el cante _______________________________ Cuidàdu so tota vida a no’ s’abizen’ si cante tontèsas de vigilantes
L’INTERO GUADAGNO dai diritti sarà devoluto al GrIG Sardegna https://gruppodinterventogiuridicoweb.com/ per sostenere cause ambientaliste e la lotta contro la speculazione energetica.
Oggi non riesco a non pensare a Jack, il mio caro amico che se n’è andato il giorno del compleanno di mio figlio Giordano Bruno, che per lui era proprio un nipotino.
Pubblico qui un ricordo della prima chitarrina che gli regalò (oggi Giordano è un vero musicista).
non lancio maledizioni. Ma le sento lanciare intorno, ovunque.
Mi assalgono alcuni dubbi: c’è poca chiarezza su tante cose, sopratutto sul fatto che il suo lavoro era (e forse è ancora) operare nel settore speculativo della cosiddetta energia “verde”.
È come far entrare una faina in un pollaio e chiedere poi di credere alla sua buona fede.
Bene, poniamo che io ci creda, ma lei deve comunque conquistarsi la fiducia dei sardi.
Mi sarei aspettato:
Che si schierasse apertamente e decisamente coi movimenti che si oppongono alle speculazioni.
Che fosse ad Oristano al loro fianco a fronteggiare la polizia – mobilitata da un sistema di affari per difendere privilegi di speculatori, e non attivata da un’Amministrazione per difendere i diritti dei cittadini.
Che interrogasse dall’alto del suo carisma di Presidente dei Sardi il prefetto che ha ordinato una simile mobilitazione militare.
Che interrogasse a questo proposito il Presidente della Repubblica, il presidente del Consiglio, il ministro delle politiche ambientali…
Che rischiasse con una ordinanza che blocchi l’installazione anche la richiesta di danni e portasse alla Corte Costituzionale l’eccezione di legittimità della delibera (fatta dalla giunta Solinas… si sa).
Che esponesse perfino la propria persona e quelle dei componenti della giunta sapendo che qualsiasi richiesta di risarcimento, forse giudicabile perfino illegittima, sarebbe comunque inferiore al danno che crea l’installazione. Per esempio a Saccargia.
NIENTE DI TUTTO QUESTO
In cambio, invece di discutere in merito, non dà chiari segnali di reattività, ma si rifugia con pretesti nel solito politichese con cui da sempre siamo stati irretiti dalle giunte para-coloniali precedenti.
Lancia accuse di “interessi personali”… a chi come me, in Sardegna, oltre l’amore e il senso di appartenenza, non ne ha. Non concorro ad alcuna carica né incarico, e se mi arrivassero rifiuterei senza esitazioni. In cinquant’anni dalla Regione Sardegna non ho mai chiesto né ottenuto favori. Non ho “possedimenti”, tranne il peso della casa dei miei, inutile e inutilizzata, che causa solo spese.
Le accuse mi hanno offeso perché denotano la cattiva coscienza di chi non è capace di riconoscere una posizione etica e distinguerla dalle miserie egoiche degli interessi personali.
Ma d’altronde, chi vola basso, in basso sta… e il suo sguardo basso rimane.
Non maledico. Chi si muove così sarà maledetto dalla sua stessa terra, resterà nelle cronache e nella storia come colui che ha permesso uno scempio simile. Sarà maledetto dalle generazioni a venire, alle quali si sta togliendo vita, sguardo e respiro con tutta l’arroganza di un potere malato.
Considero in malafede chi in Sardegna concederà a qualcuno, oltre le comunità sarde e nei limiti dei loro stessi bisogni, QUALSIASI DIRITTO DI SFRUTTAMENTO di terra, aria, acqua, o risorse di ogni genere a scopo speculativo. Non dobbiamo regalare più niente a nessuno.
Abbiamo già dato troppo da oltre duemila anni a tutti i colonizzatori. Nessuno sfruttatore è benvenuto nella nostra terra già violentata nella cultura, lingua, paesaggio. È supermercato per i turisti più beceri e cafoni, è supercarcere ora obiettivo di tutte le mafie, Camorre, Ndranghete, russe e cinesi, milanesi e torinesi, è fabbrica di bombe sullo Yemen, è mercato di armi per ogni guerra attorno, è base militare che auto-assolve ogni tumore negato e ogni generale….
Signora Presidente Todde, io nei suoi confronti non ho preconcetti, anzi, la mia base di partenza è stata gioire per la sua elezione: donna e alternativa alle bande di malaffare. Avrei forse rivendicazioni nei confronti dell’imbecillità di chi la appoggia facendosi chiamare sinistra e, imbelle quando non connivente, non muove un dito contro le basi militari o lo sfruttamento dell’Isola.
Ma è ora di dare una svolta decisa. Anche il linguaggio della politica è cambiato diventando più aggressivo. Arruola tutta la povertà cognitiva e l’ignoranza dei più bassi livelli intellettivi. Le lobbies ormai anche qui agiscono, come negli USA, in modo sempre più arrogante e sfacciato. Dunque è ora di posizioni dure, radicali. Non alimento odio e paura, ma ho il diritto di essere preoccupato.
Ho il diritto d’indignarmi
Non voglio attivare il fatalismo né l’attitudine auto-colonizzante che ci ha contraddistinti finora. Sappia che mi sono perfino rallegrato che, vincendo le elezioni, ci liberasse da quella banda di fascisti e affaristi, servi sottomessi, che l’ha preceduta
ma ora deve mostrarci come difende il suo popolo
Signora Presidente, le chiediamo di dare segnali molto forti. Nessuna installazione deve produrre oltre la necessità del suo stesso popolo. Forse basterebbero poche pale e una Carlo Felice con lo spartitraffico di pannelli solari per dare energia a tutti i sardi, o poco più. E se anche questo non bastasse, IN OGNI CASO il programma non può essere dettato da Terna o da chiunque altro intenda ricavare profitto lucrando sull’energia “verde”. Resista alla speculazione! Sono certo che conterebbe sull’appoggio di quella maggioranza della popolazione che racchiude il meglio della nostra gente. Questo é tempo di unità, forte e decisa, non di vuote trattative dove, sempre e comunque saremmo perdenti.
COMINCI DA SÉ STESSA IL PERCORSO DI DECOLONIZZAZIONE
Riporto la notizia e il commento INTERAMENTE da Gianluca Martino (@gianlucamart1) su twitter. Chi scrive è lui. La mia unica considerazione è che se ancora nel mondo esiste il nazismo, oggi uno dei suoi interpreti è il sionismo. E non ci sia qualcuno che stupidamente mi accusa di antisemitismo. Mentre pubblico questo intervento, penso ai miei cari amici intellettuali, scrittori e poeti israeliani e a quelli palestinesi, e soffro ugualmente per tutti loro. Penso a Mahmoud Darwish, poeta che ho nel cuore. RESTIAMO UMANI
LA STORIA DEI 40 BAMBINI DECAPITATI
di Gianluca Martino
Com’è andata realmente la storia dei 40 bambini decapitati e perché la maggioranza dei politici e dei media è un’accozzaglia di razzisti e pressappochisti. La notizia è partita da questi due fenomeni: David Zion e Nicole Zedek.
Il soldato israeliano David Ben Zion, intervistato dalla giornalista tv Nicole Zedek, dice che ci sono i corpi decapitati di 40 bambini. La giornalista, anche lei presente sul posto, invece di verificare, “spara” la notizia alla tv i24 news con il seguente commento: “I palestinesi sono degli animali, ma questo già lo sapevamo”.
La notizia viene ripresa dalla CNN e a ruota da tutti i media del mondo, arrivando a miliardi di persone. Scoppia l’indignazione “I palestinesi vanno puniti. Hanno fatto bene a bombardarli” dicono.
Passano ore e ore ma nessun giornalista pensa di andare a verificare. Un giovane giornalista israeliano, Oren Ziv, twitta timidamente (in sintesi) “Guardate che anch’io sono sul posto, non ho visto bambini decapitati. Qui i soldati e gli ufficiali dell’esercito non sanno nulla”.
Come se non bastasse il danno provocato dai media, scende in campo la classe politica più scarsa e ignorante dai tempi di Romolo Augustolo. La dichiarazione più indecente e pericolosa arriva da Biden che afferma di aver visto e verificato le foto dei bambini decapitati.A New York e altre città USA scendono in piazza per chiedere un genocidio, in India chiedono al proprio governo di intervenire militarmente in Palestina. In Italia, cani rabbiosi della politica e dei media di destra e di sinistra chiedono allegramente la Soluzione Finale.
Intanto veri giornalisti israeliani, come quelli di Haaretz e altri, pretendono le prove, pressano insistentemente lo stato maggiore dell’esercito che comunica di non avere elementi a riguardo. Intervistano il soldato David Ben Zion che ora dichiara di non aver visto personalmente i corpi decapitati ma che gli è stato riferito da alcuni commilitoni a lui sconosciuti.
Scoprono che il soldato è un fanatico estremista di destra, fomentatore d’odio che da anni incita, anche sui social, allo sterminio dei palestinesi.
Il danno è ormai irreparabile. Come se non bastasse l’avvio del genocidio interno, si registrano numerosi casi di aggressioni a palestinesi residenti in occidente, mentre i media italiani continuano senza pudore a dare la notizia falsa omettendo di rettificarla.
Questa è la foto più apprezzata e diffusa sui social in questi giorni. La Soluzione Finale può proseguire senza intoppi, i suoi cantori a gettone di presenza hanno lavorato senza sosta e questi sono i frutti.
Il 14 dicembre, da Marcello Fois, ho ricevuto l’appello che metto qui in immagine. Ho pensato di aderire, ma anche di rispondere. Ecco qui sotto la mia risposta.
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A Marcello.
“nella vita spirituale si agisce, sì, da affaristi,
ma per antica tradizione si parla da idealisti”
(Musil)
Il tuo appello, conoscendoti da circa 40 anni, non giunge inaspettato. Di te ho visto tutto fin dall’inizio: percorsi, evoluzioni, cammino e passi. Grande generosità materiale in contrappeso ad altrettanta prudente accortezza intellettuale.
E stavolta ho avuto tre diverse reazioni:
“Ma neppure rispondo!” (No… Sarei sgarbato, apparirei presuntuoso… non è da me… in fondo sarebbe come non rispondere a un saluto. E non si fa).
“Firmo e taccio. Lascio perdere. Sto zitto”. (Eh no! Caspita! Tacere su quello che mi muove da mezzo secolo! La mia visione etica, la mia appartenenza… Io sono ancora Sardo).
“Firmo o non firmo, non importa… ma almeno rispondo”. (Negli anni te le ho lasciate passare tutte, davvero troppe, senza dire mai niente).
Per carità… l’appello è legittimo, giusto e condivisibile. Lo firmo senz’altro. Ma… tu non hai lo spessore etico per condurlo. Bisogna contestualizzarlo.
La chiamata, apparentemente generosa e patriottica, si colloca in un percorso che potrei descrivere nei particolari. È il procedere indefesso di una Mouche du coche, mirabilmente narrata da La Fontaine e ancor prima da Fedro. La famosa mosca cocchiera di cui parlavano Gramsci e Turati o, in letteratura, Carducci, riferendosi agli epigoni del Manzoni.
Da quando ti conosco, per te c’è sempre stato un cocchio su cui saltare, un cavallo da pungere all’orecchio, un atteggiarsi a questa nobile funzione.
Nessuno ha interpretato meglio questo ruolo. Fin dagli albori, quando sostenevi e diffondevi l’appello per un Assessore alla Cultura, socialista, sul quale ho un parere strettamente politico: il peggiore della storia di Bologna da tutti i tempi. Ma non posso fartene una colpa: arrivasti in città da giovane militante del PSI e quella rete ben attrezzata fu tua da subito, testa bassa e senso del dovere. Scendendo poi dal cocchio rapidamente, con un mirabile colpo di reni, appena prima che Craxi e Mani Pulite lo conducessero a schiantarsi in un precipizio. Era il cocchio sbagliato, e tu eri dotato di ancora giovani ali. Hop…! Un opportuno salto e via…
Il cocchio successivo era più stabile. Più cooperativo. Largo e solidissimo fin dal dopoguerra, e qui in Emilia ancora regge nonostante le evoluzioni e i cambi di modello della Ditta.
Il coraggio dell’arroganza fu sdoganato quando un democristiano, il miglior interprete di quelle attitudini, ne diventò il risolutivo Amministratore Delegato. A lui, almeno spiritualmente, ti riconosco ancora fedele. Mi colpì molto la tua rabbiosa difesa dei suoi referendum al tavolo di un’osteria. Da manzoniano convinto e militante, hai accolto i Renzi come modello, eleggendo nel percorso tutte le diverse Lucie (non importa di che sesso, non prendermi alla lettera) secondo l’utilità. Si passava risolutivamente dal “tengo famiglia” al più spietato “da ora finalmente va così, e così sarà”.
Tutto questo mentre la nostra terra intanto avanzava verso un disastro di entità terminale. Oggi, con la piena complicità politica espressa dal silenzio anche tuo, la mia Sardegna si conferma:
La zona d’Europa su cui (in rapporto al territorio) sono le più estese e invadenti basi militari di tutta Europa.
La maggiore vittima di pericolose e inquinanti esercitazioni (Teulada).
E se non bastasse, la colonia italiana (tale è) invasa dal turismo più becero e arrogante. Una terra cui si possono perfino cambiare i nomi dei luoghi senza suscitare reazioni. Per capirci ora immagina che l’Emilia, senza colpo ferire, sia ribattezzata col nome del suo supermercato più rappresentativo: COOPlandia. Così è successo in Costa Smeralda. È come vendersi la madre.
Ne deriva che le prospettive per i giovani, come in ogni colonia, sono soltanto quelle di servire i colonizzatori diventando loro guardiani, giardinieri o camerieri. I più svegli, se va bene, saranno gli chef che tu inviti a sottoscrivere l’appello. Niente da dire… mestieri dignitosissimi e perfino belli per chi li sceglie, ma a patto che non resti l’unica strada possibile. A proposito… Non ho capito perché insieme agli chef non inviti i grandi falegnami sardi, o i pastori (fra i migliori del mondo), o le progettiste di meravigliosi tappeti, e così via…
Marcello, non ti ho mai sentito denunciare questa situazione. Al contrario, in luogo di usare la parola COLONIA, ti sei reso profondamente complice con le tue chiamate alla Patria italiana. Non hai fatto altro che consolidare inesistenti radici per un popolo al quale erano imposte con la forza. Hai affiancato il colonizzatore e, casomai, gli hai spesso dato consigli per potersi mascherare meglio.
Hai fatto furbi outings (“Ho tradito”) che niente cambiavano del continuare a tradire. Senza vergognarti hai serialmente recitato in ruoli di menzogna (ne potrei citare una lunga collana, ultimo il tuo inesistente bilinguismo: “penso in sardo e devo tradurre in italiano”), avendo capito che per atteggiarsi basta mentire in luoghi dove nessuno può smentirti o rubacchiare un pochino le idee di quelli che, come me, non hanno voglia di smentirti. Una lezione questa che ha fatto scuola anche in altre/altri dopo di te.
Intanto il cocchio corre. E le mosche, ronzando con la bocca a tromba, con un ennesimo coup de théatre incitano il cavallo. Che faranno nelle soste? Riposeranno su ciò che il cavallo depone?
Anch’io dico sacrosanto ribellarsi, ma da 50 anni lo faccio con ben altri argomenti, quelli che tu non hai mai nemmeno sfiorato. Lo faccio, come sempre, perfino sotto il tuo sguardo di sufficienza per le donchisciottesche battaglie che io perdo e tu, prudentemente, non combatteresti mai.
Ora ti dedico alcune meritate citazioni che riportano il discorso alla sua oggettività. Ho tralasciato Gramsci e messo Turati che, da socialista, capisci molto meglio…
(…) Ma le mosche, per altro, le mosche cocchiere sono pur le male bestie e noiose! Si fermano alla prima osteria e van ronzando negli orecchi alla gente (Carducci 1897).
(…) una propaganda, che fa appello esclusivamente ai romanticismi impulsivi dei sofferenti, forse traduce, più che altro, la favola della “mosca cocchiera”, che presume di guidare, in codesto duplice solco, l’aratro della sedizione (Turati 1913).
Perciò sappi che, même si tu joues la mouche du coche, tu ne peux pas me tromper.
Il libro nasce dall’incontro tra i poeti Alberto Masala e Raùl Zurita, a cui si è aggiunta la partecipazione di Marco Colonna, con la composizione di un’opera ispirata alle loro poesie.
Ognuno ha composto sette quadri di città: oltre ai testi in italiano e spagnolo, il libro contiene la scrittura grafica delle partiture.
La poesia e la musica di questi autori si trovano davvero, e fuor di ogni retorica, a mappare luoghi diventati, o che sono da tempo immemore, invivibili. Li mappano, nella loro continua ribellione, per abitarli: sono tracce di un radicamento multiplo, ma che non rinnega, d’altra parte, il proprio nomadismo libertario di fondo. In questo paradosso, allora, abitare lo spazio della parola, del segno e del suono resta possibile perché alla base di queste manifestazioni artistiche non c’è una sterile rivendicazione identitaria, ma una molteplice esperienza di incontro.
(Dalla postfazione di Lorenzo Mari)
Marco Colonna, nato a Roma. Musicista, improvvisatore e interprete di vari strumenti ad ancia. Attivo fra la musica folk, jazz e la classica contemporanea è considerato uno dei musicisti più rappresentativi della sua generazione.
Lorenzo Mari, vive e lavora a Bologna. Traduce dallo spagnolo e dall’inglese. Ha curato l’edizione italiana di Zurita. Quattro poemi del poeta cileno Raul Zurita (Valigie Rosse, 2020), nella traduzione di Alberto Masala. Collabora con varie riviste online (Pulp libri, Fata Morgana web, Jacobin Italia).
Alberto Masala. Sardo, vive a Bologna. Poeta e scrittore plurilingue, traduttore. Pubblica in Italia, USA, Francia, Spagna, ed è in raccolte di molti altri Paesi dove ha agito nei principali luoghi della poesia e dell’arte.
Raúl Zurita Canessa. Cileno, fra i più importanti poeti contemporanei. Torturato durante la dittatura di Pinochet, la sua produzione è innovazione formale e strategia di resistenza. Candidato al Nobel, è Premio Nacional de Literatura, Premio José Lezama Lima, Premio Neruda, Premio Reina Sofía.
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