Az.Namusn.Art, dove l’arte non rassicura le coscienze

(articolo uscito su “La Nuova Sardegna” dell’11 giugno 2009)

Quando Joseph Beuys mise il pubblico ed i critici davanti ad un mucchio di sabbia, sapeva di compiere un gesto sovversivo, come sovversiva può essere soltanto una cultura che apre nuovi spazi di visione dimettendosi dalle convenzioni dello sguardo consolidato e rassicurante. In quello storico momento l’opera veniva definitivamente sottratta ad ogni possibilità di gestione da parte del sistema dell’arte, mettendo i critici davanti alla loro stessa impotenza. Un mucchio di sabbia non poteva essere bello o brutto… era un mucchio di sabbia, quindi non poteva essere posseduto, venduto, acquistato, collezionato…. Anche trasportarlo o riproporlo uguale sarebbe stato impossibile: la mancanza di un solo granello ne avrebbe minato la sua feticistica riproducibilità tecnica. Salvandola così dal giudizio estetico, sottraendo l’opera alla sua mercificazione, Beuys da allora ci ha costretti in uno spazio più esteso che non quello della rappresentazione formale: appare con lui il territorio concreto dell’intelligenza, il pensiero contenuto nel gesto d’arte che ci riconsegna intatta la responsabilità di osservatori sull’essenza della vita, la nostra posizione sulla terra che ci accoglie.

Lo stesso atteggiamento e la stessa consapevolezza che oggi anima il lavorodi Az.Namusn.Art in esposizione fino al 31 maggio a Porto Torres nei locali dismessi – e da loro laboriosamente ricuperati – dell’Ex Consorzio Agrario. Il paragone non sembri azzardato: il Laboratorio della crisi di Riccardo Fadda e Pietro Pintadu rivela in embrione la stessa determinazione etica che ha condotto il percorso del grande artista tedesco: sguardo critico sulla realtà, amore incondizionato per l’ambiente, coscienza dell’azione artistica senza mediazioni nei confronti dei sistemi di controllo sociale. L’evento espositivo documenta con chiarezza energicamente irriducibile l’ecologia di un pensiero oggi faticoso in un contesto – in cui ormai è concesso agitare l’irresponsabilità come valore – che ha necessità di allevare artisti comodamente complici, produttori di un’arte decorativamente rassicurante o, al massimo, nevroticamente esorcizzante delle proprie peggiori pulsioni. Il paradosso sta qui: l’arte pubblica di Az.Namusn.Art ha come paradigma la spietata onestà dello sguardo che inevitabilmente denuncia e quindi diviene problematica. L’apparente “illegalità” delle loro azioni diventa un estremo appello alla purezza: lungi dal messianismo dei predicatori ideologizzati, agiscono, ed alla fine il re viene sempre denudato. E lasciano un segno, aprono questioni in un territorio periferico spodestato dalla propria identità originaria, ricattato dallo spettro della disoccupazione e angosciato dal fallimento di un colpevole e drammaticamente folle progetto di sviluppo. Ma questo elemento, l’essere periferico, lungi da confinare gli artisti portotorresi in una estremità irraggiungibile e pervasa da eventuali complessi d’inferiorità, li affranca e li restituisce, nella più attuale contemporaneità, al compito dell’artista come sensore della crisi globale, collocando l’esposizione fra i non-luoghi del mondo che oggi indiscutibilmente producono i fenomeni d’arte più interessanti. Il decentramento del pensiero creativo nelle periferie, urbane o rurali, è il fenomeno ineluttabile che sta connotando la nascita della migliore creazione artistica in tutto il mondo, mentre il Centro, sede privilegiata del potere economico e politico, soffoca nella propria autoreferenzialità e, al massimo, può acquistare, ospitare, finanziare un’arte pacificata e inoffensiva con cui tacitare la propria cattiva coscienza.

Sono partiti bene: dopo due anni di anonimato, ora, nella prima comparsa pubblica, ci forniscono un modello già forte, una genuina testimonianza di sperimentalità trasformata in oggetto artistico autonomo e ben sostenuto tecnicamente con diversi linguaggi espressivi. Lo stesso spazio espositivo, esempio del degrado ambientale della città, amorevolmente ripulito e adattato, nelle loro mani si trasforma in opera. Sotto altre latitudini e sistemi, forse gli amministratori coglierebbero il costruttivo segnale d’amore premiandone il coraggio. Lasciamo spazio alla speranza?

Infine un dovuto grazie al curatore dell’evento, Maurizio Coccia, appassionato docente di Storia dell’Arte nell’Accademia di Belle Arti di Sassari, Direttore Artistico prima del Trevi Flash Art Museum e ora del Centro per l’Arte Contemporanea “Palazzo Lucarini”, sempre a Trevi. Il suo prezioso supporto rende il lavoro di Az.Namusn.Art da oggi più visibile. Ma grazie soprattutto per averlo tutelato con una presenza carismatica e grande onestà intellettuale senza modificarlo né ridurlo a banale kermesse.

Chiudo con una nota curiosa per chi si chiede quale sia l’origine della denominazione del gruppo: Az.Namusn.Art è evidentemente specchio della parola “transumanza”. Ma la scomposizione voluta dagli artisti contiene un’inconscia semantica ben più complessa e significativa. Az, interpretabile come abbreviazione di Autonomous Zone, ci richiama immediatamente alla T.A.Z. situazionista di Hakim Bey, e nessun accostamento è più conforme alla geniale e irriverente attitudine piratesca del collettivo di Porto Torres. Namusn, in turco, significa Onore, parola casualmente aderente all’atteggiamento di “rispettabilità” sintomatica fra quei gruppi di area Rap che costituiscono la colonna sonora naturale di questi percorsi artistici. Ed il finale non può tradursi che come Arte, a pieno titolo ed in tutta la sua interezza.

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