il Sole 24 Ore, letteratura

Prisca Agustoni, Raúl Zurita.
ZURITA. Quattro poemi. A cura di Lorenzo Mari.
Trad. Alberto Masala. Valigie Rosse, 2019.

Raúl Zurita, tra i massimi poeti ispanoamericani in attività, ha un percorso di scrittura intimamente legato alle sorti del Cile, dove è nato nel 1950 e dove è stato arrestato e torturato durante la dittatura di Pinochet (lo si ricorda anche qualche mese fa, durante la fase più accesa delle proteste, in strada con il popolo cileno). Come osserva puntualmente Lorenzo Mari nell’introduzione, Zurita predilige un approccio alla parola poetica in sintonia con uno dei grandi nomi della lirica del Novecento, Paul Celan, con il quale condivide la scarnificazione del verso, associata ad una potente capacità allegorica in grado di parlarci di una rifondazione del mondo attraverso il linguaggio. Come testimone dei tanti traumi imposti dalla dittatura cilena, la sua opera sembra attualizzare di continuo la domanda, avanzata da Adorno, sulla possibilità che ha la poesia di occuparsi ancora e nonostante tutto della vita dopo la catastrofe.

I numerosi premi a lui attribuiti attestano che proprio nel riconoscimento della parola poetica come veicolo di risignificazione del mondo consiste il suo grande contributo come scrittore e intellettuale. È quando si evince anche da quest’antologia, organizzata dallo stesso Zurita, con alcuni tra i suoi testi più rappresentativi della lunga discesa agli inferi che è stata la dittatura nel suo paese. Una discesa agli inferi che richiama volutamente echi danteschi, in riferimento alla centralità che Dante occupa nell’universo poetico di Zurita, del quale è anche traduttore. Va ricordato che Zurita è figlio di madre italiana, giovane emigrata in Cile, e che la scoperta della Divina Commedia fu per lui una vera epifania, un modo per continuare ad ascoltare la voce della nonna materna alla quale era molto legato, come ha avuto modo di dichiarare in diverse interviste.

Nell’antologia tradotta da Alberto Masala, ci sono testi che mostrano una spiccata narratività, altro tratto essenziale del suo lavoro sulla parola, e che risulta da una ricerca espressiva sorta dalla necessità di parlare di un vissuto politico che è al contempo individuale e collettivo. In questo senso, la poesia che allunga il passo e si avvicina alla narrativa permette la messa in atto di un interessante scenario polifonico dove si intercalano diverse voci narranti che incarnano personaggi diversi. Così, nella sezione Las cataratas del Pacífico, si descrive un Cile fantasmagorico, con chiari rimandi ai desparecidos: “mostrando migliaia di immagini del Cile frantumanto sotto le cateratte /con fotogrammi di convogli militari di spiagge affollate di gente /di prigionieri inabissati tra le onde”.

Nella sezione seguente, dal titolo emblematico I barcaioli della notte, è impossibile non pensare a Caronte e ai disperati nell’inferno dantesco. Si tratta di un lungo canto tragico che evoca la figura del barcaiolo che trasporta i condannati: “Sopra […] la sagoma del quarto barcaiolo aveva il colore del deserto. […] Quando ho aperto gli occhi la spinta feroce del suo remo che mi respingeva mi aveva spaccato il cuore”. Evidenti qui le ferite di ieri ancora aperte nel Cile di oggi, ma anche il tagliente grido di dolore che è diventato il Mediterraneo.

Perché la poesia, quando si mette in gioco fino in fondo, quando lo fa con un’aderenza etica all’umano con le sue ferite, riesce ancora a traghettare un senso, una domanda, quel qualcosa che ci accomuna nel linguaggio, nella riflessione e nel sentimento di appartenenza ad una comunità. È quanto succede quando si legge la poesia di questo grande poeta latinoamericano.

Prisca Agustoni, marzo 2020

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In uscita una nuova traduzione di cui vado molto fiero: quattro fondamentali poemi di Raúl Zurita, grande poeta cileno di rilevanza mondiale. Una testimonianza necessaria in questo momento storico.

L’antologia Zurita. Quattro poemi – pubblicata da Valigie Rosse nella collana “Caratteri” curata da Valerio Nardoni e Paolo Maccari – è una selezione operata dallo stesso autore, tradotta da me e curata dal prezioso e accurato lavoro di Lorenzo Mari che ne ha anche scritto la prefazione.

Il percorso parte dall’esperienza stessa della prigionia, nel primo mese della dittatura, per poi arrivare a cantare un amor desaparecido che riguarda tutto il continente sudamericano e, in generale, il nostro mondo.
LVB – Le cateratte del Pacifico – I barcaioli della notte – Canto al suo amore scomparso, sono quattro tappe di una discesa agli inferi che ricorda l’opera dantesca (della quale Zurita è traduttore in lingua spagnola), ma che si presenta, soprattutto, come un viaggio resistenziale verso la materia viva delle grandi questioni del presente: etica, resistenza e poesia come testimonianza universale.

Lo presentiamo per la prima volta giovedì 28 novembre, ore 19:00 – La confraternita dell’uva // Libreria – Cafè – Wine Bar – a Bologna, in via Cartoleria 20/b. Modera l’incontro Edoardo Balletta.
https://www.facebook.com/events/572864856821527/

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Ho tradotto un nuovo fantastico libro!

Mentir aux étoiles di Alexandre Chardin, la mia nuova traduzione appena uscita per il Barbagianni Editore col titolo italiano Mentire alle stelle. Un bellissimo libro per ragazzi che entrano nella scuola media.

hawad

Ho tradotto (dal francese) il nuovo libro di Hawad, il grande poeta tuareg – mio amico e compagno di strada – per una piccola casa editrice friulana, Edizioni via Montereale, insieme a Vanni Beltrami che ha fatto la prima stesura. La cura del libro e la traduzione dal francese sono di Hélène Claudot-Hawad, eccellente studiosa della gente Tuareg. la postfazione di Ludovica Cantarutti.

Dentro la Nassa è un libro importante che denuncia lo sfruttamento dei territori tuareg da parte delle multinazionali che stanno estraendo dalle sabbie del Sahara metalli rari e preziosi. Un altro terribile genocidio sta avvenendo nel silenzio generale: gli Stati coinvolti tacciono, o falsificano l’informazione, ed appoggiano le compagnie estrattive. Intanto i Tuareg vengono impunemente sterminati.

La poesia di Hawad, ancora una volta grande testimone dei popoli del deserto, qui rappresenta il drammatico canto della loro resistenza.

hawad

stralci dall’introduzione di Hélène Claudot-Hawad

(…) Il testo, compiuto nel 2013, è stato scritto nella tensione della rivolta dell’Azawad, partita all’inizio del 2012 e continuata fino all’intervento militare francese nel gennaio 2013, che infine riesce a rimettere in piedi lo stato e l’armata del Mali in piena decadenza ed a reinstallarli in forza nel Sahara, confermando di voler “dimenticare” il popolo tuareg.

(…) Per Hawad, la creazione dell’Azawad ha sepolto l’essenza della lotta centenaria di un popolo che tenta di liberarsi dal giogo coloniale e neo-coloniale. Se si rivolge all’Azawad in questo testo è perché esso è parte di sé – cioè del Tuareg che lui è –, una parte che ha raggiunto un tale stato di sofferenza, miseria, oppressione, da farle accettare la cancellazione, dietro le etichette che le sono state imposte. Attraverso questo personaggio evanescente, sul bordo dell’abisso, privato della parola, di spazio, di diritto all’esistenza, Hawad tenta di tracciare una figura che, pur priva di gambe braccia e lingua, può rialzarsi proiettandosi altrove…

(…) Il cammino è lungo. Hawad si serve della poesia, «cartucce di vecchie parole, / mille e mille volte falsate, aggiustate, ricaricate», come strumento di resistenza. E nomina i gradi di decomposizione del corpo tuareg e gli interessi minerari internazionali che spingono verso la sua distruzione ed il suo smembramento…

(…) Egli scava le ferite della disfatta e le fa sanguinare per provocare di nuovo una reazione, per rianimare i corpi in preda al tetano, per riportare lo sguardo alla lucidità: «Ma quando si è carne / allo spiedo in un cerchio di fuoco / bisogna saper guardar fisso le le fiamme.
L’obiettivo è valutare chiaramente la situazione e adottare la posizione distanziata che conviene. «Disgustati, / Azawad, sputa dall’alto come un cammello / ma mira bene, sputa sull’occhio buono! // Un guerrigliero sa scegliere il bersaglio / e risparmiare i colpi!»
Tutto ciò che fa male è enunciato chiaramente, come la solitudine «Tu sei solo, Azawad, / senza munizioni né braccia / né compagni o alleati all’orizzonte»
o il diniego «Chi sono gli Autori dei manoscritti?/ Chi sono i fondatori dei muri di Timbuctu? / Non furono le tribù Imessoufa, Imaqesharen, Igdalen, / Illemtayenb e gli Igelad, / Tuareg che oggi / (….) sono bruciati»
o la distruzione «Volti specchi infranti, / ritratti di donne bambini vecchi, / terra e uomini gettati nell’incendio, / in ginocchio nella melma / del fuoco che brucia.»,
o la replica del disastro coloniale «privazione, penuria / peste liturgia d’agonie nel caos / epilessia tellurica fremito della terra / litanie e rosari d’espropriazioni / esclusioni stermini / scorrere di valanghe violenze / distruzioni e quel che segue / rimbalzi di frammenti di sé / che si schiantano / su altri fischi del nulla»
o le illusioni «Non pensare che sotto la ruota / del carro troverai il nido di una chioccia, / salvezza, oblio, dove celarti»
o i compromessi vani «Non mendicare il respiro / della tua esistenza, / stravolgi il destino. // Lo sterminatore della tua gente / non ha bisogno dei tuoi servizi…..»
o l’invasione tecnologica. «Oggi nei cieli del Sahara e del Sahel / non più corvi né avvoltoi, / ma droni e proiettili».

(…) Hawad installa i pilastri che servono a costruire il solo tetto che può ospitare stabilmente i Tuareg, cioè se stessi che si riconoscono in se stessi: «Oltre a te, non c’è un altro / Tuareg di riserva / dietro cui tu possa riposarti».

(…) Perché, come l’Autore ricorda instancabilmente in tutte le sue opere, «essere sconfitti è un’arte / che si pratica nella solitudine / della penombra.»

(…)

Hélène Claudot-Hawad, settembre 2013

dall’inglese


Jack Kerouac – L’ultima parola. In viaggio, nel jazz
traduzione e cura di Alberto Masala (con uno scritto di Paolo Fresu)
Il Maestrale. 2003 (2° ed.) – più notizie qui…


Love and politics di Judith Malina (StampAlternativa, 1998)

Underwear di Lawrence Ferlinghetti (2008)


Lirycal Poetry di Simon Pettet (Porto dei Santi 2000)
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dal francese


Nierika, o le memorie del quinto sole di Serge Pey (il Maestrale 2001) – più notizie qui…

dal sardo


Peppinu Mereu – Poesie complete – a cura di Giancarlo Porcu
traduzioni di Alberto Masala, Giovanni Dettori, Marcello Fois­
Il Maestrale 2004 (2007 seconda edizione riveduta e corretta) –  più notizie qui…


Poesie satiriche (settecento e ottocento) – (La biblioteca dell’identità, Cagliari 2006)


Poesie d’amore (dal cinquecento all’ottocento) – La biblioteca dell’identità, Cagliari 2006


Canto in Re a cura di Paolo Angeli (ISRE/ Archivio Mario Cervo, libro+ 5 CD, 2006)

Peppinu Mereu 
Poesie complete
seconda edizione riveduta e corretta
Il Maestrale, 2007 Tascabili . Poesia € 9
a cura di Giancarlo Porcu

Morto a soli 29 anni all’alba del nuovo secolo lasciando un piccolo libro di poesie, Peppinu Mereu (Tonara 1872-1901) ha compiuto – e tuttora prosegue – un cammino letterario senza soste né cedimenti, entrando nell’immaginario collettivo di una Sardegna che continua a leggerlo e a cantarlo. La poesia di Mereu, erede di una plurisecolare tradizione in lingua sarda e al contempo proiettata nelle inquietudini espressive e ideologiche novecentesche, si colloca fra spigliatezza comunicativa e meditate turbolenze linguistiche; coniuga il taglio deciso del verso popolare agli avvolgimenti verbali di una personalità  complessa. Questo volume (giunto alla seconda edizione riveduta e corretta) raccoglie per la prima volta l’intera produzione di Mereu, restituendola filologicamente all’autenticità delle edizioni ottocentesche, radunando l’opera dispersa e ridando al lettore altri testi originali sommersi, mai riproposti fino ad ora, compresi alcuni inediti in lingua italiana. L’edizione, curata da Giancarlo Porcu, è corredata di una nota biografica, una bibliografia completa, una storia del testo mereiano, apparati critici e un saggio conclusivo. La traduzione a fronte in italiano, che insegue la rima e la metrica degli originali, è ad opera di tre scrittori-poeti: Giovanni Dettori, Marcello Fois e Alberto Masala.

Recensioni:

Giulio Concu per L’Unione Sarda
Leandro Muoni per La Nuova Sardegna
Franco Loi per il Domenicale del Sole 24Ore

Paolo Cherchi per Italica

L’ultima parola. In viaggio, nel jazz.
Il Maestrale. 2003 Tascabili. Narrativa € 10
traduzione e cura di Alberto Masala
(con uno scritto di Paolo Fresu)

Questi appartati scritti di Jack Kerouac (molti dei quali tradotti qui per la prima volta in italiano) testimoniano ancora una volta due grandi motivi dello scrittore americano: il viaggio e il jazz. Meglio: in viaggio e nel jazz, perché ad imporsi nella lettura di Kerouac è ¨il dinamismo della sua prosa e l’immersione della scrittura nel suo oggetto”.

«Se chi scrive è la musica, Kerouac diventa musica. Se chi scrive è il viaggio, lui si fa percorrere dalle visioni, diventa strada. Così diventa occhio, mano che impugna una fotocamera nelle mani di Robert Frank. Diventa toro, sangue, e chi scrive è la stupidità umana… diventa gente, e linguaggio della gente: Dave, il ragazzo messicano, l’umanità di Tangeri con Burroughs, gli irochesi, la patetica visione dell’eroico country quotidiano di un’America bambina che non vorrà mai crescere. E Kerouac diventa America. Ma, come i bambini, la rompe e la rifà diversa». (Alberto Masala)

due belle recensioni:

 

 

Serge Pey
Nierika o le memorie del quinto sole
Il Maestrale. 2001 Poesia € 14.46
traduzione e cura di Alberto Masala

Le poesie che compongono questo libro sono state vissute e redatte da Serge Pey fra il 1978 e il 1992 sotto l’influenza delle visioni allucinatorie del peyotl. Sono le tracce dei viaggi iniziatici del rito dei huicholes, indios dell’alta falesia di Las Latas, nella Sierra Madre messicana, presso i quali Serge Pey ha vissuto. Il rito huichole del peyotl è il Nierika: spesso simbolizzato da un piccolo specchio, il Nierika è “un buco da fare nella materia per vedere al di là di questa e ritrovare se stessi”. Sotto la guida dei cantori-sciamani-artisti il rito prepara “il passaggio ad una poesia non separata, una poesia di totalità , una poesia fisica prodigiosa e magica”. Un passaggio che conduce il poeta a riconoscersi un altro da se stesso, riprendendo nella sua profonda verità l’Io è un altro di Rimbaud. In questo poema Serge Pey mescola la bellezza dei nomi di differenti dialetti huicholes incontrati sul suo cammino, ma esso resta comunque una traduzione: quella della lingua del peyotl. La parola poetica è qui accompagnata da disegni, ideogrammi personali che riprendono, direttamente o dalla memoria, i disegni allucinati del peyotl. Sono i grafismi che Pey incide sui bastoni di castagno sui quali scrive anche i suoi testi. “Questi grafismi si confrontano alla mia visione scaturita dal viaggio allucinogeno e alle memorie di fuoco dei marakaame, i cantori-artisti-sciamani”.