Un mio commento all’analisi, che riporto sotto, dell’amico Nicolò Migheli su Sardegna Soprattutto.
8 Maggio 1945 - massacri coloniali in Algeria.

8 Maggio 1945 – massacri coloniali in Algeria.

Caro Nicolò, come al solito, mi vedi d’accordo con la tua analisi. Sarà perché siamo totalmente coetanei (io più vecchio di te solo di qualche ora), abbiamo la stessa formazione che si è evoluta nelle stesse direzioni… non so e non importa.
Ma c’è una puntualizzazione che sento di dover fare – e sulla quale tu sorvoli. Mi viene dalla conoscenza pratica dell’area Maghrebina, forse un pochino più concreta della tua.

C’è una ferita insanata dal punto di vista psicologico e antropologico che crea ancora oggi ombre non rischiarabili col pensiero occidentale: la colonizzazione (i due assassini sono di origine algerina) ha creato enormi fratture incolmate, La Francia, origine dei principi laici in cui anch’io mi riconosco, in quell’area ha impunemente agito in contraddizione con questi stessi principi per decenni. Così l’occidente ha fatto in tutte le aree oggi critiche. Il senso di frustrazione e di rivincita dei colonizzati, lo stesso che puoi riconoscere nelle nostre zone interne della Sardegna, può creare mostri facendo da battistrada ai fondamentalismi. Il fondamentalismo è, secondo me, la rivincita semplificata (la revanche simplifiée, come l’ho definita, guarda caso, proprio in francese), ridotta al grado zero. In quell’area di frustrazione, nell’emarginazione, nell’apartheid delle banlieues di tutto il mondo fa agevolmente proseliti.

Nessuna giustificazione, ovviamente. Nessuna mai… in nessun caso.

Noi stiamo con Charlie, noi siamo Charlie da sempre. Come ieri eravamo “né con lo stato, né con le BR”. Questo sistema occidentale non ci appartiene, non ci rappresenta, non è il nostro. E nemmeno di Charlie. Anzi, se guardi bene, è molto più vicino a “loro”. Spesso ha perfino parlato la stessa lingua. Ha insegnato loro a combattere, li ha armati. Ha mentito con loro come oggi mentono loro. Pensa solo alla retorica sui due marò, che hanno sparato su pescatori inermi per difendere il carico di una nave commerciale. Mai una parola sulle famiglie di quei poveri pescatori, e intanto i marò vengono chiamati eroi. Ecco la metafora perfetta di cosa siamo e di cosa stiamo insegnando. Di quali valori siamo portatori.

Il clima del terrorismo è stato provocato, favorito e fomentato, proprio dal nostro sistema occidentale. Sono meno assassini di questi due algerini i soldati israeliani a Gaza?
Noi (io e te ed altri come noi) ancora una volta, siamo altro. Siamo da un’altra parte. Certamente con Charlie, certamente fuori dal loro gioco. Ancora: “né con lo stato, né con le BR”. Mandalo a dire chiaramente alla ministra Pinotti, al presidente Napolitano, al presidente Pigliaru da parte mia quando parlano di giustizia, di valori, di patria e di Brigata Sassari, con le basi militari e i depositi di scorie nucleari in Sardegna.

Ecco come l’occidente ha formato lo spirito di quei due giovani assassini d’origine algerina. Ora sono diventati proprio come i loro colonizzatori. Per parlarne e per capire dobbiamo partire da qui.

Wikipedia – Torture pendant la guerre d’Algérie

massacri coloniali in Algeria2 massacri coloniali in Algeria4 massacri coloniali in Algeria5

Un interessante commento sul blog di Daniele Barbieri: “Mi dispiace, però io non sono  Charlie” di Karim Metref – e, sempre di Karim Metref, una forte e luminosa osservazione che fa ancora più chiarezza: “Io non mi dissocio”.

Il conflitto di civiltà è dentro di noi [di Nicolò Migheli]

allah

La strage dei giornalisti e dipendenti di Charlie Hebdo ci interroga tutti e non solo sul supposto conflitto di civiltà tra l’Occidente e l’Islam. Di quella sparatoria non si conoscono ancora le ragioni profonde, forse non basta il colonialismo occidentale, il Medio Oriente è in fiamme dallo sterminio degli armeni del 1915, non basta la radicalizzazione di certo Islam politico e la spinta messianica che lo attraversa.

Non bastano perché, questa volta, come nel 1939 sono in gioco i nostri valori, il desiderio di vedere realizzata una società includente con pari diritti per tutti, libertà politiche e di fede garantite. Non basta perché l’attacco al Charlie è la cifra di una società che da sempre pencola tra oscurantismo e laicità. Tra libertà ed integralismo. I cittadini europei considerano chiuse le guerre di religione con la pace di Vestfalia del 1648, anche se la guerra jugoslava degli anni Novanta ha avuto anche aspetti di scontro tra cattolici e ortodossi, tra cristiani e mussulmani. La nostra laicità è figlia della riforma protestante e della rivoluzione francese.

Una libertà difficile, per dirla con Emanuel Lévinas. Uno scontro mai sopito tra diritti ed obblighi, tra la libertà di critica e di satira e rispetto per le fedi altrui. Basti ricordare il pregiudizio antiebraico, o quello reciproco tra cristiani di diversa confessione. L’illuminismo ha portato con sé la critica feconda sia dell’autorità religiosa che di quella monarchica. La caduta del principio di autorità ha permesso confutazioni prima impensabili. La secolarizzazione ha fatto il resto, nessuno può sottrarsi al diritto di critica e allo sberleffo altrui.

Oggi non è che con l’Islam europeo il panorama sia cambiato. No, si ripropone solo in maniera più virulenta. La modernità e le integrazioni labili favoriscono sensibilità che rivelano debolezze reciproche. Sono deboli gli occidentali impauriti da una diversità che non riconoscono ad altri, lo sono gli altri per i medesimi motivi. Uno scontro che in fin dei conti ha come oggetto quello che siamo, le nostre identità le appartenenze di gruppo e quello che vorremmo essere. Tante sono le domande che ci si pongono.

Si può irridere tutto, senza curarsi che quella parola o quel disegno provochino sofferenze in altri, in ciò che loro credono, del proprio stile di vita? Siamo sufficientemente liberi e nello stesso tempo accorti nell’accettare tutto, o c’è qualcosa che può fare scattare in noi una reazione forte ed inconsulta? La società americana aveva trovato la risposta con il politicamente corretto, una formula che garantisca la libertà di pensiero ma allo stesso tempo sia rispettosa delle diversità culturali e religiose. Non sempre però ci si riesce, il permanere del razzismo negli Usa è misura di come sia difficile contemplare entrambi gli atteggiamenti. In Europa dopo il 7 di gennaio parigino siamo di nuovo in mezzo al guado, dobbiamo trovare nuove modalità di confronto che contemplino la libertà di critica e sberleffo e allo stesso tempo non mortifichino ed offendano le credenze altrui.

È la sfida dei nostri tempi. Diritti, libertà e democrazia non sono acquisiti per sempre, sono conquista quotidiana difficile, ancor di più in tempi di confronti che diventano sempre più militari. Lo sottolinea Sandro Magister nel suo blog riportando un intervento del presidente egiziano Abdel Fattah El Sissi, tenuto il 3 di gennaio nella università di Al Azar, il “Vaticano sunnita”, davanti ai massimi esponenti di quella confessione: «Il mondo musulmano non può più essere percepito come “fonte di ansia, pericolo, morte e distruzione per il resto dell’umanità”. E le guide religiose dell’islam devono “uscire da loro stesse” e favorire una “rivoluzione religiosa” per sradicare il fanatismo e rimpiazzarlo con una “visione più illuminata del mondo”. Se non lo faranno, si assumeranno “davanti a Dio” la responsabilità per aver portato la comunità musulmana su cammini di rovina»

Noi non possiamo immaginare il nostro rapporto con l’Islam in termini di scontro violento, ma anche loro debbono smettere di desiderare che il resto del mondo si uniformi alle loro credenze. Lo diceva El Sissi nel discorso citato. Una mia amica mi raccontava di un ricercatore afghano che l’anno scorso frequentò un master di dottorato a Sassari. Alla sua domanda su come l’esperienza sassarese avesse influito su di lui, Abdullah rispose: “Non si può attraversare due volte lo stesso fiume, perché sei cambiato nel viaggio e perché l’acqua non è più la stessa”.

In questi anni abbiamo attraversato fiumi, la nostra società europea non è più la stessa dei nostri genitori e padri. Siamo già cambiati, il conflitto dentro di noi è quello antico con modalità nuove. Anche questa volta ce la faremo.

 

JulioQuando manca, un amico non scompare. Per questo trovo inadatto aprire questa comunicazione dicendo che ieri è scomparso Julio Monteiro Martins, amico, scrittore geniale, poeta, attivista della letteratura e del sociale, promotore della scrittura dei migranti, ambientalista coraggioso, brasiliano in Italia. Qui notizie su di lui ed i suoi libri.  E anche sul progetto Sagarana che ha inventato e diretto. La morte di Julio è molto dolorosa per la letteratura, ma soprattutto per i suoi figli, la sua bimba Beatrice e la sua compagna Alessandra, la quale scrive a tutti gli amici le belle parole che riporto perché siano sentite.

Cari amici,

Julio ha deciso di lasciarci, che era giunto il momento, se n’è andato sereno, tranquillo, lucido, circondato dall’amore della sua famiglia e degli amici e senza soffrire decidendo di lasciarsi addormentare per poi piano piano scivolare nel suo sonno eterno.

La malattia l’ha affrontata da guerriero qual era, con coraggio, senza risparmio di forze e anche con fede, una fede laica, e speranza perché lui era così: un uomo che sapeva raccontarsi una realtà più felice di quella che era, un uomo che volava e immaginava cose belle.

A noi che restiamo il compito di proteggere e di far crescere sani e forti i suoi figli, io penserò ai figli di carne e a voi tutti chiedo di pensare ai figli di carta, così Julio continuerà tra noi, vivo e vegeto.

A lui, che è stato il mio compagno di vita per dieci anni, mio marito, il padre di Beatrice, ho promesso un ultimo regalo, una celebrazione con tutti gli amici raccolti intorno a lui, ricordandolo. Una festa, perché ai brasiliani le feste piacciono e Julio in questo era così deliziosamente brasiliano.

Quindi vi chiamo tutti in raccolta, ci troveremo il giorno 27 dicembre alle ore 15:00 alla croce verde di Lucca via Romana traversa II, 95.

Vi stringo forte perché so che Julio non mancherà solo a me ma anche a voi.

Con affetto
Alessandra

Vecchio Mulino

il Vecchio Mulino, in via Frigaglia 5 a Sassari, è un circolo (dove si mangia e si beve molto bene) che ospita eventi di musica, letteratura, arti visive, con ammirevole continuità. Da tempo desideravo andarci, ed Anna e Andrea, i gestori, desideravano ospitarmi. Finalmente succede e ne sono contento. E con due bellissimi omaggi: la degustazione dell’ottimo vino Pùmari (per cui ho scritto il cartellino intorno al collo della bottiglia) e la partecipazione di Alessandro Zolo al contrabbasso.

Martedì 30 Settembre 2014 ore 20 Il Circolo d’arte Il Vecchio Mulino presenta

ALBERTO MASALA

La poesia è altro: è la voce di chi ha visto le voci.
Riflessioni e conversazioni con lo scrittore-poeta sardo.
 
Non coltiviamo un sogno…in apnea lo siamo

Con la partecipazione straordinaria di Alessandro Zolo al contrabbasso
(qui in uno scatto di Paola Rizzu)
Alessandro Zolo

Prima dell’incontro la degustazione del vino Pùmari
della cantina di Giommaria Pirisi, Valle dei Nuraghi, Torralba.
cartellino Pùmari

Reading + Cena/Buffet…. € 10
Info e prenotazioni: 0794920324 ; 3393407008
Il Vecchio Mulino, Via Frigaglia 5, Sassari

l’evento su Fb:

https://www.facebook.com/events/715710318483486/715713001816551/

bimbi 2

ecco la compilation per sostenere Gaza (anche economicamente) – è molto bella e ricca, eterogenea – fra tutti gli altri, io partecipo con Marco Colonna.
E SE SCARICATE TUTTO IL RICAVATO VA A GAZA –
Ora datevi da fare – diffondete, scaricate, offrite, regalate, date una mano… rendete attiva la vostra solidarietà.

SCARICATE – DOWNLOAD – TÉLÉCHARGEZ – DESCARGUEN

Save Gaza Compilation
by Free Artists For Gaza

Includes high-quality download in MP3, FLAC and more.
Paying supporters also get unlimited streaming via the free Bandcamp app.


GAZA HA BISOGNO DI NOI

madre 1

SCARICA – OFFRI – REGALA
IL RICAVATO DELLE DONAZIONI CHE E’ POSSIBILE EFFETTUARE SCARICANDO L’ALBUM SARA’ DEVOLUTO AL CENTRO ITALIANO DI SCAMBIO CULTURALE VIK, www.centro-vik.org , che a Gaza con i suoi operatori umanitari si sta occupando di provvedere all’emergenza di  tutti i beni di prima necessità.

GAZA NEEDS OUR HELP
madre 2

BUY NOW – NAME YOUR PRICE – SEND A GIFT
ALL THE DONATIONS RAISED THROUGH THE ALBUM DOWNLOADS WILL BE DONATED TO THE ITALIAN CENTER FOR CULTURAL EXCHANGE VIK, www.centro-vik.org , that through its humanitarian operators in Gaza is providing for basic necessities for the actual emergency.

non aggiungo una sola parola: ha detto tutto lui, Norman Finkelstein

Ho tradotto un articolo di Brahim Senouci, blogger, giornalista e saggista algerino, per avere qui una voce “altra”, con parametri non dettati dall’Occidente. Mi pare davvero molto interessante e chiarificatore il parallelo con la nascita del colonialismo. Ringrazio l’autore. Buona lettura.
E, per chi volesse, qui l’articolo originale in francese.

Israele è il nuovo Cortés, incaricato far rispettare la legge dell’Occidente su questa terra ripulita della sua popolazione col massacro o l’addomesticamento. Essere solidali con la Palestina oggi, significa battersi contro questa prospettiva e sostenere una democrazia mondiale nella quale l’uguaglianza fra gli uomini, tutti gli uomini, divenga la regola…

Hernan_Fernando_Cortes

Nel 16mo secolo, la potenza spagnola è al suo apogeo. Le sue navi attraversano l’Atlantico, conquistano l’Eldorado americano, e fanno man bassa delle straordinarie ricchezze che contiene. Le popolazioni indigene facilitano il loro lavoro. Loro non conoscono le armi e, a dispetto del loro numero, finiscono per sottomettersi ad un piccolo distaccamento spagnolo condotto da Hernan Cortés.

Dei coloni s’installano in quelle regioni e accumulano fortune considerevoli ricavate dallo sfruttamento di terre immense e da una manodopera costituita da schiavi poco inclini a ribellarsi.

I nuovi padroni ne approfittano per infliggergli lavori estenuanti, esercitare su di loro sevizie sessuali e torture che possono arrivare fino all’uccisione.

Ci sono anche degli Spagnoli che si commuovono per la sorte di quei poveretti e che vanno a lamentarsi con la Chiesa. In propria difesa, i coloni sostengono che, a fronte dei loro costumi «barbari», quegli indigeni non meritano d’appartenere alla specie umana e che, per questo, è lecito trattarli come semplici animali. Sorge un dibattito che sfocia nella famosa controversia di Valladolid. Vengono sono interpellate numerose personalità, religiosi, filosofi. È così che nel 1550 ha luogo quello che la Storia riterrà come il primo dibattito sui diritti dell’uomo.

La questione posta è semplice: «Gli Indiani hanno un’anima?». Il confronto si cristallizza rapidamente tra padre Bartolomé de Las Casas e Ginés de Sepúlveda, amico di Hernan Cortés, canonico di Cordoba. La tesi di quest’ultimo è semplice: Dio ha dato alla Spagna dei regni inferiori su cui estendere il suo potere per la propria gloria. In questo contesto, gli Indiani sono «animali» nati per stare sotto il giogo degli Spagnoli. Dall’altro lato, padre Bartolomé de Las Casas, 27 anni, chiede rispetto per la loro dignità, arrivando fino a contrastare giuridicamente i conquistadores e imporre loro un territorio protetto, senza schiavi, senza violenza. E vince la scommessa! Il destino degli Indiani è così un pochino raddolcito. Tuttavia, devono convertirsi al cristianesimo con la forza.

L’epilogo della controversia è molto più scuro. I coloni, avendo perso la massa di operai docili e schiavi alla loro mercé di cui disponevano, si mettono alla ricerca di «carne fresca». L’Africa gliela fornisce. È così che nasce il sinistro commercio triangolare, tragedia dei Neri che ha arricchito trafficanti senza scrupoli, la cui fortuna è esposta negli splendide dimore di Nantes e Bordeaux, palazzi i cui frontoni sono adornati, ancora oggi, da una «testa di negro»…

conquistadores

È TANTO LONTANO IL 16mo SECOLO? LE COSE SONO MOLTO CAMBIATE DA ALLORA… DAVVERO?

Certo, la schiavitù e le conversioni forzate sono scomparse. Gli indigeni di ieri vivono in grande maggioranza in paesi liberi. Gli Occidentali infatti hanno finito per sottomettersi alla volontà d’indipendenza dei popoli che hanno per lungo tempo asservito. È chiaro, tuttavia, che questa nuova configurazione del mondo non ha portato al diffuso benessere economico, resta più o meno circoscritta alla sfera occidentale. Soprattutto, la liberazione dei popoli è rimasta in larga misura teorica. La maggior parte di loro sono ancora in un testa a testa impari con le ex potenze coloniali che continuano a dettare le loro linee politiche e persino influenzano la scelta dei loro leaders! L’esempio di Françafrique la dice lunga sulla artificialità dell’indipendenza di molti paesi africani e sul mantenimento della loro subordinazione nei confronti degli interessi degli ex dominatori. Se necessario, all’Occidente non ripugna ricorrere alla buona vecchia diplomazia delle cannoniere. Spesso si fa in nome di principi morali che ci spiega essere fondamento della sua politica. Si tratta, proclama, di cacciare dei dittatori e di offrire a dei popoli asserviti la prospettiva di un orizzonte di libertà e di democrazia. il risultato di questo interventismo è là, sotto i nostri occhi. L’Iraq e la Libia si liquefanno sotto lo sguardo indifferente dei loro «salvatori». L’effetto domino si propaga fino alla Siria, votata senza dubbio a trasformarsi in un conglomerato di sultanati regionali in incessante stato di guerra …

medioriente

Scartiamo l’ipotesi di un accecamento dell’Occidente che l’avrebbe condotto a disconoscere gli effetti dei propri interventi. Sarebbe come accreditargli una dose d’imbecillità senza nesso con la realtà. Scartiamo allo stesso modo la tesi di una buona azione che degenera in effetti perversi. Chi potrebbe immaginare che Blair e Bush, perdendo il sonno a causa della situazione del popolo iracheno gemente sotto lo stivale di Saddam, siano arrivati a mentire spudoratamente per poter volare in suo soccorso? Questa guerra condotta contro l’Iraq è una dimostrazione della realtà del paradigma occidentale, che subordina il futuro del mondo al suo esclusivo interesse. Poco importa che interi popoli siano coinvolti nella tempesta, poco importa che centinaia di migliaia di bambini muoiano per gli effetti del lungo embargo che ha preceduto l’invasione dell’Iraq, poco importa che il futuro stesso della Terra sia compromesso da un inquinamento disastroso generato da uno stile di vita follemente consumistico. La supremazia dell’Occidente deve essere mantenuta a qualunque prezzo. Non si accontenta di far cadere i proiettili. Riveste le proprie truppe di un discorso morale, democratico, di rispetto dei diritti umani. Vuole conservare non soltanto la sua superiorità militare ma anche il monopolio dell’universalismo. I valori che promuove, affrancandosene, sono valori universali. Non ce ne potrebbero essere altri. La «comunità internazionale», è lui. Il resto del mondo non è che un fornitore di materie prime, di manodopera a buon mercato, presidiato da governanti disponibili e attenti ai desideri di colui che gli assicura di mantenerli sul trono. Ecco dunque l’immensa zona grigia alla quale apparteniamo, nella quale coloro che presiedono ai nostri destini non rispondono al proprio popolo, ma a coloro ai quali devono la loro posizioni. Riguardo all’Occidente, c’è un «loro e noi». Loro, sono quelli la cui umanità è discutibile, o negata. Anche questa negazione fa parte della matrice occidentale. È grazie a ciò che li ha potuti massacrare su larga scala, e torturare, senza che la propria coscienza e l’inossidabile fede in se stesso ne siano significativamente alterate. Massu, il Massu della battaglia d’Algeri, spiegava che la tortura sarebbe stata possibile solo per il fatto che i soldati che la praticavano avevano fra le mani non degli esseri umani ma dei «bicots», dei «ratons», dei «bougnoules»[1]. Consideriamo che la Repubblica francese non ha avuto bisogno di modificare la sua costituzione per instaurare il codice nero in Africa o il codice nativo in Algeria. Le popolazioni che li subivano formavano il «corpo d’eccezione», composto da soggetti che non hanno vocazione ad essere dei cittadini. Questa attitudine non veniva da una minoranza razzista. Era condivisa dalla maggioranza degli artisti, intellettuali, personalità politiche dell’epoca. mai rivisitata, mai formalmente rimessa in causa, la matrice essenzialista continua ad essere la bussola dell’Occidente!
palestina-perdita-terraGaza ne fornisce oggi una nuova illustrazione. Tutto è stato detto sull’orrore che conosce questa piccola striscia di terra, sottomessa a un blocco inumano da 8 anni. Non c’è bisogno di aggiungere nulla, tranne qualcosa di essenziale. Tutto il mondo ha costatato il sostegno unanime dell’Occidente ad Israele, o piuttosto la reiterazione di questo sostegno che dura in realtà da quando Israele esiste. Tutto il mondo ha constatato la singolare mancanza di empatia dell’Occidente con le vittime palestinesi, le scarsa sensibilità davanti alle morti di bambini o di neonati. A volte scivola una parola di compassione, ma seguita immediatamente da un reportage fortemente empatico con la «sofferenza» degli Israeliani che non possono stare tranquillamente su una spiaggia, darsi al surf o alla degustazione di gelati. È la matrice essenzialista che parla. I Palestinesi non hanno ontologicamente gli stessi diritti dei loro carnefici. La loro morte è nell’ordine delle cose. Quella degli Israeliani al contrario fa scandalo. Le barriere politiche cessano d’essere rilevanti quando l’essenziale, cioè la preminenza del «Noi» sul «Loro», è in gioco. La sinistra di governo francese vola in soccorso dell’estrema destra israeliana. Obama, Merkel, Hollande, Cameron, e la quasi totalità di dirigenti occidentali, ad eccezione di alcuni paesi come la Svezia o la Norvegia, dimentichino le loro divergenze per comunicare nel loro amore per Israele. Dimenticano perfino di tentare di cambiare differenziando le loro infiammate dichiarazioni dalla solfa abituale sulla necessità di trovare un accordo. Hollande arriva anche ad accusare Hamas di far naufragare il processo di pace.. Nessuno ha avvertito che non esisteva più?

Obama e Netanyahu

Che l’Occidente getti alle ortiche il suo discorso morale abituale a vantaggio della difesa incondizionata di un dei suoi non sorprende. Lo farà sempre di più, man mano che la sua leadership fin qui incontestata farà delle crepe con l’arrivo di nuovi attori. Plus desolante, invece, è l’attitudine di alcuni nostri compatrioti (algerini) che adottano gli argomenti favoriti dei sionisti. E denunciano come l’antisemitismo sarebbe ciò che alimenta le manifestazioni contro il massacro di Gaza. Allo stesso modo, insorsero contro una sorta di solidarietà automatica con la Palestina che si esercitasse a scapito del sostegno per il popolo siriano, dell’aiuto ai berberi mozabiti di Ghardaïa e, più in generale, li distogliessero dalla lotta per instaurare la democrazia nel nostro paese. Cukierman e Prasquier, dirigenti del CRIF, non dicono altro. Loro sono in pieno servizio. I nostri, invece, malgrado la loro evidente buona fede, giocano contro il loro campo. È abbastanza strano, visto le immagini atroci di corpi smembrati di bambini, immaginare che non sia contro questi assassini che i manifestanti gridano la loro collera ma che lo facciano per un antisemitismo che sarebbe inscritto nei loro geni. Questo si chiama “processo alle intenzioni” particolarmente mal riuscito dal momento in cui popolazioni senza difesa sono sotto le bombe. Ci sono anche quelli che adottano come proprio la barzelletta di “scudi umani” di cui si servirebbe Hamas per proteggersi. È l’argomento favorito d’Israele… serve a giustificare i crimini che sta commettendo. Un’altra lamentela ricorrente: “Se gli Algerini sono solidali con i Palestinesi, è per un riflesso tribale arabo-islamico”. Perché dovremmo impedirci di solidarizzare con un popolo col quale abbiamo tante cose in comune? Perché dovremmo obbedire alle ingiunzioni di chi ci ordina di disfarci di questi «arcaismi» che ci portano verso coloro che ci somigliano, soprattutto se la giustizia è dalla loro parte? Gli autori di queste critiche hanno qualcosa da ridire sul fatto che 26 dei 27 paesi dell’Unione Europea hanno voluto includere la dimensione cristiana dell’Europa nel progetto di Costituzione? Trovano normale che la Turchia, sebbene laica, sia dichiarata non gradita nell’UE perché musulmana? Niente da dire sulla solidarietà fra paesi ortodossi o fra paesi cattolici? Ultima cosa per coloro che rimproverano ai manifestanti il loro tropismo palestinese: li invito a leggere l’opera di Alain Gresh «Da cosa viene il nome della Palestina?». Vi si ritrovano le ragioni della centralità della causa palestinese, che oltrepassa la semplice questione del condividere alcuni ettari di terreno, e che ha molto a che fare con la mappa del Medio Oriente che viene ridisegnato davanti ai nostri occhi nel sangue dei bambini in Siria.

espansione

I problemi sono generalmente gli stessi del 1550. Per l’Occidente si tratta di riaffermare la propria supremazia, in un momento in cui è contestata. La regione più sensibile è questo vicino Medio-Oriente dispensatore generoso di petrolio. È dunque là che il ferro viene riscaldato e che, a grandi colpi di forbice, si fanno sparire dei paesi vecchi come il mondo. Senza scrupoli. I milioni di vittime, dirette o indirette, sono arabi o simili, «bougnouls», una specie inferiore che non vale la pena di trattare coi guanti.

Israele, fin dalla sua nascita, si è definita come una «cittadella avanzata della civilizzazione». È il nuovo Cortés, incaricato di far regnare la legge dell’Occidente su questa terra che avrà in precedenza spogliato della sua popolazione col massacro o l’addomesticamento. Essere solidale con la Palestina oggi, significa battersi contro questa prospettiva e impegnarsi per una democrazia mondiale nella quale l’uguaglianza tra gli uomini, tutti gli uomini, diventerà la regola….

dal blog di Brahim Senouci (Le Quotidien d’Oran, 24 luglio 2014)

 

[1] “capretti”, “topolini”, “piccoli carbonai”. Tutti dispregiativi per indicare i nordafricani.

 

che bella primavera! 

finisce marzo portandomi due belle giornate di Milano: alla Palazzina Liberty e nel circolo dei sardi di Cesano Boscone


ora viene aprile con il dono di due concerti insieme a Marco Colonna

3 aprile all’Angolo B di Bologna – ore 21,30

 

4 aprile a Bagnacavallo apriamo l’evento diretto da Christian Caliandro: “Un Paese. Raccontare il presente italiano”

qui il link all’evento

e il video del concerto

 

Taliban non finisce mai… mentre ero sotto la doccia suona il corriere con i pacchi delle copie del libro appena ristampato negli USA da Marimbo. I libri erano imballati con una copia accartocciata del 31 dicembre 2013 del San Francisco Chronicle and Bay Area, così posso anche leggermi un po’ di notizie da laggiù…

nel retro c’è scritto:

To give voice to words is of Sardinian essence. And Masala has always allowed that essence to be essential to the way he looks at life and expresses himself. Thus, combining Sardinian esprit, Italian bril­liance and a culturally political awareness at home and abroad, it’s little wonder he should have chosen to engage the situation involving the Taliban. The prohibitions that precede each of the 32 short poems read like a litany of horrible decrees. The poems which follow each prohibition are almost dialectic responses to the decrees, whether in fear of them, or submission or resistance to them.  (Jack Hirschman from the Introduction)

L’immagine di copertina è stata scattata in un bosco di Mostar, in Bosnia, da Fabiola Ledda.
Una discarica di ciabatte da donna in stile turco (quindi musulmane) dopo la pulizia etnica.


TALIBAN, The 32 Precepts for the Women

translated by Jack Hirschman with Raffaella Marzano
$
14

ISBN 1-930903-78-2,  978-1-930903-78-4

 notizie e storia di questo libro sono qui

Jack Hirschman, uno dei più importanti poeti del mondo, autore di Arcanes, ha compiuto ottant’anni.

Siamo amici e compagni di strada da più di vent’anni, forse trenta, condividendo libri, letture e festivals in Italia, Germania, Bosnia, Iraq, USA, e non ricordo dove ancora… Jack mi sorprende sempre, e anche stavolta ci è riuscito: quando l’ho cercato per fargli gli auguri e dirgli quanto gli voglio bene, è stato lui a precedermi facendomi il regalo. Ecco qui sotto la mail che mi ha spedito per dirmi che negli USA è uscito ancora Taliban (con la sua traduzione e introduzione). Un piccolo libro, ma molto resistente: tra USA, Francia e Italia è ormai la quinta volta che viene stampato…

GRAZIE JACK. AUGURI, Abbracciebaci a te e Aggie!

“Bravo, caro Alberto—-Good words to me and good words on you, and here’s the third good: Taliban came out yesterday with Fabi’s photo BIG on the cover!!
Wait’ll you both see it.
25 copies are in the mail to you.
Complementi!
Abbracciebaci—Jack and from Aggie too”

Ecco qui la poesia che gli avevo dato, avvolta in una bandiera rossa, per i suoi settantacinque anni

 

Comunicato Stampa

HATING IN A WORLD OF DESIRE!

Action’s Urban Wild Art

Londra, 28 ottobre 2013, Old Street. Il collettivo artistico AZ.NAMUSN.ART sceglie il giorno dell’uragano, il St Jude’s Day Storm, per avviare il nuovo ciclo di azioni urbane ad alto impatto sociale economico, politico e ambientale, Ball(oons) Experience Series.

AZ.NAMUSN.ART, con l’ausilio di scale e impalcature presenti in loco, verso le 4:00 del mattino ha raggiunto il tetto di un edificio nei pressi della stazione di Old Street, su cui da Aprile è posizionato un enorme pallone da spiaggia, del diametro di oltre 10 metri. Sotto l’alibi dell’installazione di arte pubblica, opera di Morag Myerscough, si nasconde in realtà una subdola operazione di marketing della società immobiliare Derwent London. Secondo la società, l’edificio in costruzione (15 piani per circa 228.000 metri quadrati, valore immobiliare intorno ai 200 milioni di sterline), grazie a un particolare sistema d’isolamento termico ed efficienza energetica, vedrebbe ridotta del 20% la bolletta energetica. Ogni anno, l’equivalente dell’abbattimento delle emissioni di CO2 riempirebbe circa 180 palloni della stessa dimensione del Land Marker sul tetto dell’edificio.

AZ.NAMUSN.ART, dopo aver reciso i punti di ancoraggio e aver installato un GPS sul pallone, lo lascia libero, in balia dell’uragano. Grazie al satellite, però, si traccia una mappa urbana arbitraria, affidata esclusivamente alla forza della natura, che porta a compimento il processo e, quindi, l’opera-azione in forma di Action’s Urban Wild Art.

Il titolo, Hating in a World of Desire, è un riferimento diretto all’opera Loving in a World of Desire di Damien Hirst, che vede un pallone da spiaggia sospeso su un getto d’aria che fuoriesce dal basamento dell’opera stessa.

AZ.NAMUSN.ART sottolinea ironicamente come il caos generato dalla forza devastante della natura accomuna la creazione dell’opera e quella del mondo, smascherando al contempo la vulnerabilità delle nuove tecnologie che, seppur create e manovrate dall’uomo, risultano non controllabili. E così, il valore simbolico del “monumento”, corrotto dalla strumentalizzazione della società immobiliare, si riscatta attraverso la riappropriazione fatta dai fenomeni atmosferici. Pertanto, è la natura che lo trasforma da opera oggettuale in un’allegoria effimera, ma dal forte contenuto etico, che travalica il principio estetico, dilagando nella realtà. Hating in a World of Desire, quindi, è un’anti-pubblicità, una contro-campagna di sensibilizzazione, sui cambiamenti climatici e le emissioni di CO2. Infine, è un monumento-memento alle sperequazioni dell’economia globale. Nonostante la conclamata attenzione alle tematiche ambientali, infatti, l’opinione pubblica sembra anestetizzata davanti al totale delle azioni dei combustibili fossili della Borsa di Londra, che stime al ribasso quantificano in circa 900.000.000.000 di sterline!

AZ.NAMUSN.ART ringrazia tutte le persone che hanno collaborato al progetto, diffondendo in rete, dalle prime luci del mattino del 28/10/2013, alcuni video still di Hating in a World of Desire, sui più popolari social network, come twitter e facebook.

www.aznamusnart.org

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Press Release

HATING IN A WORLD OF DESIRE!
Action’s Urban Wild Art

28th October 2013, Old Street, London. AZ.NAMUSN.ART is back in action on St Jude’s Day, they are starting a new cycle of urban actions with high social impact: Ball(oons) Experience Series.

AZ.NAMUSNART, a Sardinian art collective, keeps dealing with economic, political and environmental issues in a new residential context.

AZ.NAMUSN.ART, climbed onto the roof of a building near the Old Street Station; where a huge beach ball has been displayed since April 2013; using ladders and scaffolding already set up on-site, at around 4:00am. Disguised as installation of public art, Morag Myerscough’s work, is basically an insidious Derwent London’ marketing operation. According to the company’s theory, the building under construction (15 floors for about 228,000 square feet, the value is around £200 million) is being built using a special thermal insulation and energy efficiency system, which should be able to reduce energy bills by 20% every year, thus reducing CO2’s emissions by the equivalent amount – 180 filled beach balls of the same size as the Land Marker on the roof of the building.

AZ.NAMUSN.ART, cut the anchor points and installed a GPS on the giant beach ball, in the hands of the hurricane. Through the use of the satellite, AZ.NAMUSNART is able to draw an arbitrary urban map exclusively assigned to the power of nature, which completes the process and the work in form of Action’s Urban Art Wild.

The title Hating in a World of Desire is a direct reference to the work Loving in a World of Desire by Damien Hirst formed by the beach ball floating in an airflow ejected by the sculpture’s base.

AZ.NAMUSN.ART emphasizes, ironically, how chaos is caused by devastating power of nature; they join together the idea of the creation of the work and the idea of the creation of the world and at the same time show up the vulnerability of new technologies which, even if created and operated by human beings, are not controllable. So the symbolic value of the “monument”, corrupted by these instruments of the real estate company, redeems itself through the re-appropriation made by weather events. Therefore the power of nature turns the objectivity of the work into an ephemeral allegory – with a strong ethical content which goes beyond aesthetic principles, flooding into reality.

Hating in a World of Desire is an anti- advertising work, an anti-advertising campaign aims to raise awareness about climate change and CO2 emissions. This work is also a monument memento dedicated to waste in the global economy. Despite a proclaimed interest in environmental issues, public opinion seems anesthetized with regards to the total number in shares of fossil fuel companies held on the London Stock Exchange. The value of those share are approximately £900,000,000,000!

AZ.NAMUSN.ART would like to thank all contributors who from early in the morning of 28/10/13, they posted images from video still of Hating in a World of Desire in the most popular social-networks, such as Twitter and Facebook.

www.aznamusnart.org