questo appello, pubblicato in rete dall’ottimo Tiziano Scarpa – scrittore che mi è molto simpatico… (io sono un
fan della scuraglia) – e sottoscritta da molti sulle riviste il primo amore e Nazione Indiana (vedi in fondo) mi lascia perplesso per la sua leggerezza, la sua cieca “obiettività”, il suo freddo senso della “democrazia”.

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Nel nome di quale idea della letteratura si parla? Penso subito ad un’idea della letteratura astratta, inconsapevolmente (…?) e colpevolmente funzionale ai sistemi di riproduzione e tutela del controllo sociale.
Al potere, da sempre, serve un’arte inoffensiva che fornisca un’idea del mondo pacificante e pacificata e magari metta anche in discussione i meccanismi, sì… ma solo in maniera prudentemente astratta ed in condizioni di apparente uguaglianza del diritto di parola.
Da sempre i sistemi delegano agli artisti il compito di rappresentare libertà fittizia in sistemi sociali basati sul privilegio, in cui la libertà è inesistente o estremamente sacrificata. Da sempre agli artisti viene affidato il compito di rappresentare ‘liberamente’ le frustrazioni e gli orrori di sistemi malati, inumani, oppressivi. Gli artisti assolvono il compito di alleggerire la cattiva coscienza del potere rappresentando in maniera innocua le sue malattie più orribili e, per questo, venendone ricompensati con l’accredito a corte, alla parola, ai media, al privilegio…
Niente di male… stiamo lavorando… dobbiamo campare… abbiamo famiglia… ma che almeno qualche volta questa parola si ritorca contro… che almeno si sfruttino gli spazi di visibilità per sforzarsi di avere una visione critica!

Cari scrittori, vedete, io da sempre sono convinto (e per questo eticamente indistruttibile) che il privilegio della parola pubblica possa essere delegato soltanto da un popolo, una gente, un gruppo: quello nel cui nome si è autorizzati a parlare. E che questo popolo stesso ti tolga la delega nel momento in cui non lo rappresenti più, nel momento in cui non viene assolto il debito. Sono convinto (ed ho anche pubblicato un libro al riguardo), che quando un artista calpesta in pubblico un metro quadro di mondo e si espone alla visibilità, svolga il dovere di parlare in nome di qualcuno che l’ha incaricato. Ogni artista, nell’atto creativo ed in ogni suo gesto pubblico, non porta soltanto un’opera, ma, anche solo temporaneamente, aggrega un popolo che lo ascolta, compra i suoi libri o va a vederlo in teatro e nei luoghi dell’arte.
Qui, in questi luoghi, ognuno sceglie la propria committenza e ne porta la voce trasformata dalla propria arte in opera, in sublime, in necessario, in fantastico, in bello, in terribile…
L’arte è dunque per me è solo lo strumento tecnico di cui ci si è dotati per rendere credibile socialmente la propria presenza – sperabilmente etica.
E dato che la mia presenza è spesso dannatamente dissidente, divergente, mi servo dell’arte per raffinare e mantenere la mia credibilità pubblica, per non essere punibile nella mia pratica di testimonianza e quindi continuare a percorrerla.
Per quanto mi riguarda (ma a questo nessuno è obbligato) il compito è di trasportare la voce di chi non ha voce.
Per farlo bisogna però ‘transvivere’ oltre le proprie miserie personali, diventare esemplare, trasformare il proprio Ego-Centrico in Ego-Topico, calpestando con tale intensità quel metro quadro di mondo da scavare un solco visibile, oltre sé stessi, riscattando i propri limiti personali e quelli della società che ti vorrebbe invece ‘funzionale’.
Poi si rientra tranquillamente nella propria miseria quotidiana, della quale non si deve rendere conto a nessuno oltre sé stessi.

In questo senso la vostra firma è troppo leggera ed innesca un meccanismo perverso il cui risultato è: “Vedete… qui siamo liberi di parlare e di lasciar parlare…”
Niente di più falso e strumentale al potere. Niente di più acquiescente…
In nome di quale popolo state parlando?
Quando ci si astrae pronunciandosi in nome di una solo apparente libertà, si perde il senso profondo delle cose. Io credo solo nella libertà applicata, nell’etica concreta dei comportamenti quotidiani privati e pubblici.
Quanti di voi, che avete sottoscritto l’appello, hanno rapporti con quegli scrittori dissidenti e pacifisti di Israele che, anch’essi totalmente israeliani, boicottano il sistema aggressivo e colonizzatore e vengono per questo messi a tacere? Quanti di voi sostengono quegli scrittori israeliani che disperatamente si oppongono? Ho l’idea che non vi siate nemmeno posti il problema.
Ecco perché sostengo che questa firma sia troppo comoda, distratta, inconsapevole ed incosciente. Perché sostiene un governo, non una cultura. Un potere, non un popolo. Un brutto potere…. un brutto governo… colonialista e sanguinario… che violenta ogni cultura. Anche la propria.
Israele, come ogni sistema, si serve evidentemente dei suoi scrittori e dei suoi artisti per poter avallare un’idea orribilmente falsa di stato democratico, di pensiero e respiro dell’arte e dell’espressione.
Anch’io firmo e firmerò sempre per la libertà e la pace, per i diritti alla terra ed alla vita, alla cultura, ma di tutti… non di uno contro gli altri. E non di un potere.

Così immagino che questa firma sia stata posta da voi, scrittori, quasi come un ‘dovere’ da assolvere velocemente, distrattamente perfino, senza guardare troppo a ciò che Israele compie rispetto al popolo palestinese. Sono convinto che nessuno di voi in questi giorni si sia posto il problema di agire “con altrettanta forza e consapevolezza” rispetto al dramma di Gaza, dove si continua a sterminare, dove qualcuno subisce un’oppressione di tale portata che, senza dubbi, oggi può essere indicata col termine di genocidio.

leggete l’intervista al caro Aharon Shabtai, poeta di grande qualità e profondità, che riporto in un post precedente, e pensateci sopra un momento

La vostra è una firma ciecamente ‘coraggiosa’, che manca totalmente di coraggio e di sguardo.
E’ una firma superficiale che ci trascina in basso, che colpisce la dignità di due popoli: quello palestinese e quello israeliano insieme.
E’ una firma POLITICA, ma non ETICA, che conforta l’arroganza di un sistema basato sull’oppressione e sul potere economico, un sistema sostenuto da questa Europa ipocrita ed altrettanto arrogante.

E’ l’occidente, amici… il comodo e confortevole occidente…
e chi non ci sta, scenda dal carro.

Non abbiatevene a male… ancora una volta sto solo cercando di pensare. E, come sempre, mi conduce un istinto d’amore.
Infatti pubblico il vostro appello e invito chi lo condivide ad aderire…
Ma anche c
hi non lo condivide ad opporsi fermamente.
E tutti voi a ripensarci (e quello sì, sarebbe un gesto di vero coraggio)

Con immutato affetto
Alberto Masala

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Nel nome della letteratura
Israele ospite della Fiera del Libro di Torino 2008

Con questa firma esprimiamo una solidarietà senza riserve nei confronti degli organizzatori della Fiera del libro di Torino, nel momento in cui questo evento di prima grandezza della vita letteraria nazionale viene attaccato per aver scelto Israele come paese ospite dell’edizione 2008.
L’appello a cui aderiamo s’intende apartitico, e politico solo nell’accezione più alta e radicale del termine. Non intende affatto definire uno schieramento, se non alla luce di poche idee semplici e profondamente vissute.
In particolare, l’idea che le opinioni critiche, che chiunque fra noi è libero di avere nei confronti di aspetti specifici della politica dell’attuale amministrazione israeliana, possono tranquillamente, diremmo perfino banalmente!, coesistere con il più grande affetto e riconoscimento per la cultura ebraica e le sue manifestazioni letterarie dentro e fuori Israele. Queste manifestazioni sono da sempre così strettamente intrecciate con la cultura occidentale nel suo insieme, rappresentano una voce talmente indistinguibile da quella di tutti noi, che qualsiasi aggressione nei loro confronti va considerata un atto di cieco e ottuso autolesionismo.

Raul Montanari

prime adesioni:

Alessandra Appiano, Alessandra C., Gabriella Alù, Cosimo Argentina, Sergio Baratto, Paola Barbato, Antonella Beccaria, Silvio Bernelli, Gianfranco Bettin, Daria Bignardi, Gianni Biondillo, Riccardo Bonacina, Elisabetta Bucciarelli, Gianni Canova, Fabrizio Centofanti, Benedetta Centovalli, Piero Colaprico, Giovanna Cosenza, Sandrone Dazieri, Francesco De Girolamo, Girolamo De Michele, Donatella Diamanti, Paolo Di Stefano, Luca Doninelli, Marcello Fois, Francesco Forlani, Gabriella Fuschini, Giuseppe Genna, Michael Gregorio (Daniela De Gregorio, Mike Jacob), Helena Janeczek, Franz Krauspenhaar, Nicola Lagioia, Loredana Lipperini, Valter Malosti, Antonio Mancinelli, Valentina Maran, Federico Mello, Antonio Moresco , Gianfranco Nerozzi, Chiara Palazzolo, Gery Palazzotto, Paolo Pantani, Leonardo Pelo, Guglielmo Pispisa, Laura Pugno, Andrea Raos, Roberto Moroni, Mariano Sabatini, Rosellina Salemi, Flavio Santi,Tiziano Scarpa, Beppe Sebaste, Gian Paolo Serino, Luca Sofri, Monica Tavernini, Annamaria Testa, Maria Luisa Venuta, Andrea Vitali, Vittorio Zambardino, Zelda Zeta (Pepa Cerutti, Chiara Mazzotta, Antonio Spinaci)

 

06. Febbraio 2008 · Commenti disabilitati su boicottare Israele? direi di sì… · Categorie:attivismo, blog news, nel sociale · Tag:, , , ,

conosco personalmente e stimo Aharon Shabtai: pochi mesi fa eravamo insieme a San Francisco invitati da Jack Hirschman. Credo che sia importante, in questo momento in cui si discute del boicottaggio di Israele al Salone del libro, ascoltare la sua voce.
Ho preso
l’intervista fatta da Michelangelo Cocco per il Manifesto e la riporto qui integralmente.

«È un’occasione di propaganda, per questo io, israeliano, non sarò al Salone di Parigi» – Il poeta Aharon Shabtai declina l’invito a partecipare all’evento culturale francese e accusa la deriva di destra del suo paese, che solo un intervento dell’Europa potrà arginare
Per le sue traduzioni dei Tragici, dal greco classico all’ebraico moderno, gli fu attribuito nel 1993 il Premio del primo ministro israeliano. Era il periodo del processo di pace di Oslo e Aharon Shabtai credeva che il governo fosse intenzionato a fare la pace con i palestinesi. Accettò l’ambìto riconoscimento. Qualche settimana fa invece il poeta, uno dei più famosi nello Stato ebraico, ha declinato l’invito rivoltogli a partecipare al Salone del libro di Parigi. Nato nel 1939 a Tel Aviv, autore di una ventina di raccolte di poesie e conosciuto all’estero soprattutto per «J’accuse» – in cui si scaglia contro il governo e la società del suo paese – è uno dei più radicali nella pattuglia di intellettuali «dissidenti». Secondo Shabtai, che ha risposto al telefono alle domande del manifesto, lo Stato ebraico sarebbe in preda a una deriva di destra che potrebbe essere arginata solo da un intervento dell’Europa, il Continente dei Lumi che dovrebbe aiutare «l’apartheid israeliana» a compiere una svolta come quella impressa al Sudafrica dall’ex presidente De Klerk.

Aharon Shabtai, perché ha rifiutato l’invito di Parigi a partecipare al Salone del libro?
Perché ritengo che si tratti di un’occasione di propaganda, in cui Israele si metterà in mostra come uno Stato con una cultura, dei poeti, ma nascondendo che in questo momento sta compiendo dei terribili crimini contro l’umanità. Lo stesso presidente Shimon Peres, responsabile del massacro di dieci anni fa a Kfar Kana (in Libano), parteciperà. Per me sarebbe stato impossibile andare a leggere i miei testi a Parigi.

Qual è l’immagine dell’altro – del palestinese – riflessa dalla letteratura israeliana?
Nel sionismo – uno dei frutti del nazionalismo dell’800 – c’erano elementi positivi: l’idea che gli ebrei, reduci dalle persecuzioni in Europa, venissero qui in Israele acquistando libertà e indipendenza. Ma ora ci siamo trasformati in uno stato coloniale, con i giornali che fanno propaganda razzista contro gli arabi e i musulmani. Siamo un popolo avvelenato da questa propaganda. La maggior parte della letteratura «mainstream» è completamente egocentrica: non è interessata all’altro, rappresenta la vita della borghesia e si occupa di problemi psicologici. La nostra letteratura non ha a cuore i problemi morali cruciali di questo momento storico. Si configura soprattutto come intrattenimento borghese. In questo contesto la maggior parte degli scrittori si dichiara in termini generali «per la pace», ma quando c’è da prendere una decisione per fare qualcosa di «aggressivo» si schiera col governo, come durante l’ultima guerra in Libano, quando Yehoshua, Grossman e Oz hanno scritto sui giornali che si trattava di un conflitto giusto. All’estero dipingono l’immagine di un Israele liberale, ma sono parte integrante del sistema.

Ma il governo israeliano è ufficialmente impegnato in colloqui di pace con l’Autorità nazionale palestinese e ammette l’urgenza di dare ai palestinesi uno stato, anche se solo in una parte del 22% della Palestina storica.
Il problema non è lo Stato, ma la terra. Qui i giornali ne parlano apertamente, ogni giorno, molto più che in Italia e in Europa: gli insediamenti, la confisca di territorio, il controllo dell’acqua da parte delle autorità israeliane aumentano di giorno in giorno. Questi sono i fatti, molto diversi dalla propaganda utilizzata dal governo: i palestinesi non hanno più un territorio.

Che significato ha per lei il 60° anniversario della fondazione dello Stato ebraico?
Dopo sessanta anni ci troviamo di fronte a un bivio: o continuare a essere uno stato coloniale e proseguire con la guerra, mettendo seriamente in pericolo il futuro d’Israele perché – non dobbiamo dimenticarlo – viviamo in Medio Oriente, non in California. L’alternativa è fare come (l’ex presidente sudafricano) De Klerk: invertire la rotta e provare a dare ai palestinesi pieni diritti sulla loro terra, cercando di creare un uovo sistema di pace. Altrimenti non sopravvivremo né da un punto di vista morale, né come stato, perché la guerra si espanderà a tutto il Medio Oriente.

Alcuni gruppi della sinistra italiana sono pronti a boicottare la Fiera del libro di Torino, mentre la sinistra istituzionale si oppone perché, sostiene, il boicottaggio va contro i principi stessi della cultura, provoca reazioni negative e gli intellettuali non sono responsabili delle azioni dei loro governi.
Quello che affermano è assurdo: durante il periodo hitleriano o durante l’apartheid intellettuali come Brecht e tanti altri si univano per combattere il fascismo e il segregazionismo. Gli intellettuali, assieme alle organizzazioni di base, contribuirono alla fine dell’apartheid. Gli intellettuali – che devono essere liberi – dovrebbero partecipare al boicottaggio. Un aiuto dall’Europa, che boicotti Israele non in quanto tale, ma in quanto establishment politico militare che sostiene l’occupazione, è l’unica possibilità di salvare i palestinesi e noi, gli ebrei d’Israele.

Da dieci anni, dal tramonto del movimento pacifista, siete fermi a un migliaio di «dissidenti» che manifestano contro la guerra. Perché non riuscite a raggiungere un’audience più ampia?
Perché in Israele tutte le televisioni e tutti i giornali educano la gente al nazionalismo, con un lavaggio del cervello quotidiano. Ora sono seduto, qui nel mio appartamento, e posso sentire distintamente il mio vicino che sta dicendo: «Gli arabi non sono un popolo, sono barbari, avremmo dovuto colpirli con la bomba atomica». Quello che afferma l’ha imparato dai mass media, che creano panico e rabbia mentre i politici collaborano con l’establishment militare. Viviamo in una situazione orwelliana: ogni giorno la tv ripete quanto sia terribile vivere a Sderot, dove quasi nessuno viene ucciso. A due passi dalla cittadina israeliana c’è l’inferno di Gaza, che è diventata un ghetto.

Ma cosa possiamo augurarci in un futuro prossimo?
Io spero nell’aiuto degli europei, che i discendenti di Voltaire e Rousseau aiutino Israele, perché Israele non finirà l’occupazione fin quando l’Europa non gli dirà «basta», perché Israele dipende dall’Europa e dagli Stati Uniti. Solo una pressione da parte dei paesi civili e democratici può cambiare la situazione e riportarci la felicità. La situazione attuale – in cui a dettar legge è l’esercito – non può essere cambiata dall’interno. Per i valori di cui è portatrice, l’Europa non può continuare a collaborare con Israele. Io spero che in un anno o due l’Europa possa cambiare rotta.

 

Una importante e chiarificatrice lettera aperta di Mauro Manno, ebreo antisionista italiano, a Giorgio Napolitano, Presidente della Repubblica Italiana.

Signor Presidente,
da quanto leggo su televideo lei avrebbe dichiarato:

No all’antisemitismo anche quando esso si travesta da antisionismo“.
Antisionismo significa negazione della fonte ispiratrice dello stato ebraico, delle ragioni della sua nascita, ieri, e della sua sicurezza oggi, al di là dei governi che si alternano nella guida di Israele“.

Se questo è realmente il suo pensiero, e naturalmente mi auguro che non lo sia, mi lasci dire che queste sono affermazioni errate e gravi e mi auguro che suscitino, da parte di numerosi italiani, una reazione calma e ragionata ma ferma.
(…)

leggi tutta la lettera (download)

ricevo da una mia amica teatrante cagliaritana, Grazia Dentoni, che si trova in Palestina…

Gerusalemme, agosto 2006.

Incontro Shadi Zmorrod in un caffé …Mentre piovono bombe in tutti i dintorni, qualcuno continua a sognare e tenta disperatamente di realizzare i suoi sogni… Shadi uomo palestinese di 27 anni mi racconta che sta lavorando per mettere su la prima scuola di circo palestinese, a Ramallah, uno dei territori palestinesi occupati. (Un posto in cui per entrare e uscire attraversi il muro e se sei un palestinese che entra o che esce da casa sua, i soldati possono decidere di trattenerti al check point…) Quindici ragazzi e ragazze palestinesi dai 16 ai 28 anni, seguono i corsi di formazione: saranno gli insegnanti della scuola di circo di Ramallah. Purtroppo, i trainers che dovevano arrivare da un circo belga, all’ultimo momento non se la sono sentita di venire a stare qui in questo momento, la Guerra e’ una brutta bestia!!! Ma Shadi non si arrende ed è cosi’ che comincia a mandare comunicati via internet alla ricerca di volontari…
Per ora la scuola e’ portata avanti da: un
allenatore palestinese per l’acrobatica, una trapezista palestinese di 16 anni, un giocoliere americano, io che insegno trampoli , fune e come stare sulla scena, Patrice (giocoleria) e Maloe (fune) due professionisti francesi, Shadi che è un manager e un regista, Jessica, una ragazza belga che si sta occupando di tutta l’amministrazione…
Abbiamo a disposizione i pasti gratis per tutti
noi, offerti dal miglior ristorante di Ramallah, il teatro Ashtar in prestito, un trapezio, dei materassi, un paio di trampoli che ho costruito con un falegname palestinese e ed è cosi che lavoriamo intensamente per venti giorni dalle nove del mattino sino a notte inoltrata.
Le sorelle gemelle a cui insegno fune e trampoli sono
sorprendenti, e così ognuno dei futuri trainers…
In una di queste
mattine, il teatro apre le porte anche ai bambini di Ramallah ed è cosi’ che i trainers hanno la prima esperienza di insegnamento, sono incredibilmente professionali affrontando trapezio, palline e acrobatica …
Nel frattempo io e Shadi cominciamo a pensare a come
presentare al pubblico il lavoro e come per miracolo (siamo in terra santa!) nasce “Circus behind the wall” un vero e proprio spettacolo circense che dura un ora e mezzo in cui ognuno dei protagonisti racconta col proprio corpo la sua storia e salta il muro con acrobazie, funi, trampoli, trapezio. La gente è in delirio, nell’Ashtar Theatre non si è mai visto tanto pubblico, le donne velate siedono per terra, in prima fila e le loro spalle sfiorano le spalle del vicino. I muri si infrangono, tutti sorridono e si muovono tra le sale del teatro guidati da un soldato clown che impugna un finto mitra. Rappresentiamo ironicamente la realtà che ogni palestinese affronta quotidianamente: check point, umiliazioni, soldati, il muro…. La storia inizia con un padre conservatore che sgrida il figlio, perche´il circo è una perdita di tempo e alla fine e’ cosi’ orgoglioso che applaude fiero… Così alla fine dello show il ministro della cultura sale sul palco e dice publicamente che all’inizio si sentiva proprio come quel padre, ma ora, fiero del risultato, farà di tutto per sostenere il circo e parteciperà alla spesa per il tendone… Abbiamo vinto! E la sera dopo si replica con un pubblico ancora più numeroso, lo spettacolo migliora ed esterrefatti, decidiamo che “Circus behind the wall” deve andare avanti, lavoreremo ancora dieci giorni alle rifiniture e poi lo spettacolo e´pronto per varcare il muro… Aspettiamo inviti da festival, ssociazioni, teatri… Emozionati assistiamo partecipi alla celebrazione del corpo in un territorio così castigante, spingiamo affinché il muro cada e restituisca libertà e dignità a questa gente. E´un azione poeticamente politica, che si accinge a cambiare la storia.

Grazia Dentoni


hanno bisogno di tutto

Chiedono a chiunque di partecipare a questo folle e meraviglioso progetto, in qualsiasi modo…
Servono trampoli, scarpe per camminare sulla fune, funi, denaro, palline, clave, nasi da clown, tutto cio’ che serve in un circo… trainers…
Chiunque voglia partecipare all’apertura della prima scuola di circo palestinese, contatti via mail Shadi o Grazia.


Grazia Dentoni –
foradrop@tiscali.it
http://ananche.cagliariannunci.it

tel. 00972543083258

Shadi Zmorrod – s.zmorrod@gmail.com

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ISRAELE, ORA BASTA!

fra i morti anche 37 bambini
l’ONU non ha impedito le stragi in atto
Kofi Annan chiede la condanna di Israele
ma una condanna a che serve?
questa guerra deve finire
Israele deve essere fermato

Lunedì 8 Maggio, fino al 27, partirà da Decimomannu la più importante esercitazione militare dell’Areonautica italiana, la Spring Flag, alla quale prenderà parte anche la E.A.G. (European Air Group). L’area di tiro preferenziale è il poligono di Capo Frasca, 1416 ettari a terra più l’area a mare prossima alla costa e l’immensa zona a mare denominata ‘Danger 40’, collegata alla base di Decimomannu dalla zona aerea interdetta ‘R 54’. L’imponente manovra di guerra, ovviamente, si dispiegherà anche nei poligoni di Teulada e Quirra.

AMX

Come gli anni scorsi a questa esercitazione prenderà parte anche il famigerato aereo AMX. Uno di questi, il 20 ottobre dello scorso anno, è precipitato in un campo coltivato vicino alla base di Decimomannu. Ancora non sappiamo se il terreno sia stato bonificato. Ricordiamo che nel campo si aggiravano persone dotate di sistemi di protezione, tute, maschere ecc… Soprannominato bara volante, l’AMX è un cacciabombardiere da 70 miliardi, prodotto da Finmeccanica e Brasile, protagonista di una lunga serie d’incidenti apertasi nel 1984 con la caduta del prototipo e la morte del pilota collaudatore. E’ al centro di inchieste delle Procure di Roma, Pesaro, Treviso, Padova.

PROBLEMI

Ma quest’anno una novità eclatante ha dato qualche problema ai toni trionfalistici, tra il poetico e il patriottico, che animano solitamente i comunicati dell’Areonautica italiana. Ci ha pensato il governo svedese a guastare parzialmente la festa ai giochi di guerra della NATO. Il 26 Aprile scorso il portavoce del ministero degli esteri svedese Nina Ersman ha annunciato il ritiro dall’esercitazione delle unità aeree, affermando che lo Spring Flag “è stato organizzato per operazioni di mantenimento della pace e noi non desideriamo prendervi parte a causa della partecipazione di Israele”. “Sembra poco probabile” prosegue il portavoce svedese “che Israele possa partecipare a tali operazioni. Israele non partecipa attualmente a nessuna operazione di mantenimento della pace”.

IL MANTENIMENTO DELLA PACE

Gli aerei da guerra coinvolti in questa esercitazione non partecipano ad operazioni di mantenimento della pace (compresi quelle italiani) ma fungono da supporto o operano direttamente in contesti di occupazione militare e di guerra, quali l’Iraq e l’Afghanistan. La rinuncia dell’Areonautica svedese ha sollevato la reazione stupita ed indignata del capo di stato maggiore dell’Areonautica italiana Tricarico, affrettatosi ad esprimere “comprensione e solidarietà” nei confronti del governo israeliano.

SUDDITI

Al di la della sudditanza del governo uscente nei confronti di Israele, al generale Leonardo Tricarico, così come a buona parte della classe politica italiana, crediamo sfugga un elemento centrale: l’Areonautica israeliana partecipa quotidianamente alla politica di occupazione e distruzione del popolo palestinese. Gli F16 israeliani che verranno ad esercitarsi in Sardegna sono gli stessi che bombardano ogni giorno la Palestina facendo strage di uomini, donne e bambini, con il più totale dispregio di numerose risoluzioni ONU e di qualsiasi norma di civiltà. Collaborare, permettere e partecipare ad esercitazioni di mezzi militari coinvolti in azioni di guerra è una violazione palese della convenzione di Ginevra, così come stipulare accordi di cooperazione militare, come ha fatto il governo Berlusconi.

CHIAREZZA

Era necessario che ci fosse un atto di chiarezza del governo svedese perché anche in Italia si mettesse all’ordine del giorno un inqualificabile collateralismo nei confronti della distruzione e della occupazione della Palestina? Al nascente governo Prodi serve un atto di chiarezza e di civiltà politica e una svolta per una politica estera di pace.

CHIEDIAMO
  • Nessuna collaborazione militare con lo stato di Israele fino a quando non riconoscerà il diritto ad uno stato palestinese entro i confini del 1967 con Gerusalemme Est capitale, e, così come previsto dalle risoluzioni ONU, il diritto al ritorno per i profughi.
  • Sospensione delle esercitazioni in Sardegna e apertura di una fase di smilitarizzazione del territorio.
  • Revoca del trattato di cooperazione militare con lo stato di Israele.


Comitato Sardo Gettiamo Le Basi
Associazione Amicizia Sardegna Palestina