il maqam, parola araba, è una struttura musicale, ma anche un concetto: indica le prove, gli ostacoli, i passaggi iniziatici che il pellegrino incontra nel cammino verso la Mecca, ma, in un senso più esteso, quello in cui io stesso l’ho voluto usare, verso la purificazione, l’unità armonica dell’essere fisico e metafisico.
Non ho trovato una parola che fosse più sintetica ed espressiva

Questo testo si ispira – in maniera ideale – alla struttura improvvisativa del maqam. Basato su due ritmi alternati ed un ritmo finale risolutivo, incrocia delle domande in francese e delle risposte in sardo, ma può essere combinato anche con altre lingue.

qui la versione originale del testo in francese/sardo insieme alle traduzioni complete in sardo, catalano, italiano: testo maqam

e, da ascoltare, in francese /italiano con la mia voce e le musiche di Terroritmo – è disponibile anche il download

Sul Maqam come “contro/rappresentazione della modernità”, vedi invece un bell’articolo di Iain Chambers – di cui cito un passaggio:

“l’arte rappresenta il rifiuto incessante a porre una fine e dunque ad accettare lo stato presente delle cose; in ultima analisi, resta non inquadrabile, e dunque senza forma o dimora fissa. Nel suo rifiuto del suolo, della proprietà e delle convenzioni sociali, l’arte è sempre in divenire verso un altrove incerto. L’arte non trionfa sulle ragioni della modernità, piuttosto le attraversa, asserendo un altro spazio, nel complesso più ambiguo, in cui la domanda del desiderio di finalità è sospesa. In questo risiedono la sua autonomia e la sua politica”.

4 commenti

  1. >Redazione. Turno del mattino. Subito dopo la rassegna (nella testa resta impigliata la notizia dei leoni bianchi, nati dopo un intervallo di cento anni): Maqam. Ed io per un dono di parole così credo di avere ricevuto la luna. E non è così? Maqam… tra l’altro, per diritto di assonanze, mi ha fatto pensare a quell’altra parola, l’ebraico “Makòm” che vuol dire Luogo, ma Luogo intenso come Dio. Sè Dio è un luogo. Ecco, neanche il tempo di “digitare” la parola ed ecco che il mio fermaglio è scivolato giù per grovigli di capelli sbalorditi dello sciogliersi improvviso per valicazione di spalle.
    Maqam, un percorso e un’iniziazione, un solco impossibile, un suono di parola, l’assenza del suono di quella parola e solo quella, proprio quella, quella che racchiude il fuoco di Prometeo e che accende tutte le altre. Maqam… che grande dono mi ha fatto stamattina la Vita. Se gli Scrittori come i santi tendessero alla perfezione per crocevia dell’Altro lasciando che il vento sorprenda i loro fogli di Scrittura, come fai tu, magari sarebbero ancora più poveri di quanto il loro voto di penna non preveda ma il mondo potrebbe ritenersi, in un mattino come questo, già in parte salvato. Perchè non è tanto l’idea della salvezza a inchiodare l’Uomo al suo cammino, quanto i pozzi d’acqua che in quel deserto riuscirà a scovare sovvertendo il disordine dei miraggi rugiadosi. Ah! Quanta acqua stamattina mi hai donato… oggi, almeno per oggi, tu mi hai salvata. Grazie.
    Luisa Ruggio

  2. Alberto Masala

    >grazie Luisa

    ma non hai ricevuto la luna… solo uno spazio aperto per vederla. Io non dispongo delle cose e diffido di chi se ne appropria.
    “Humana ante oculos foede cum vita iaceret/in terris oppressa gravi sub religione…” dice Lucrezio.
    ed io gli credo: dunque penso che la poesia possa soltanto trasportare e mantenere aperto lo spazio di visione e le voci che questo contiene.
    sei tu che guardi la luna… a te la dignità… senza mediatori
    io non sto facendo altro che tutelare lo spazio perché questo sia possibile.

    sì…Maqam… “Makòm”… luogo
    sai come si dice luoghi nella mia lingua? Logos
    e sai certo cos’è il Logos per il greco
    luoghi, parole, ragione, percorso, pensiero… tutte le lingue girano attorno alle stesse cose
    ho scritto un libro di appunti di prosa poetica sul Mediterraneo e, nelle note finali di viaggio, scrivo quello che ti riporto qui
    con questo ti abbraccio e sono io che ringrazio
    a.

    ——

    Ecco dunque il manuale che mi ha condotto:

    Sono nato in un paese senza tempo.
    Partendo ho portato con me il nome, la lingua, la memoria e i simboli della terra.

    il nome

    l’ho visto deformarsi e scomparire nelle pronunce per ascoltarlo rinascere nel fantastico canto cristallino di voci ‘altre’ (Màssala, Masàla, Masalha, Masalà, Mashalà, Mash Allah…).
    Così ho capito che solo abbandonando il proprio nome alla pronuncia di ogni voce e restando immobile nell’ascolto delle sue trasformazioni ci si può prosciugare l’evidenza e far emergere l’essenza. Per diventare l’altro.

    la lingua

    ho ascoltato ogni lingua come se fosse mia. Ho atteso sempre di vederla impugnare nelle modulazioni della voce e volgere come un’ingenua arma senza punta contro il dolore della sua violazione, dove incombe una patria o dove si subisce il piano santo di chi decide scienza cultura e sapere nazionale.
    Così ho visto che ogni lingua ha un nemico che ne esplora i nascondigli, e che la mia, sovrappopolata da una moltitudine di abitatori, si deve cercare dove alcuni uomini senza rassegnazione la nascondono all’interno, ben lontano dall’acqua, temendo che possa trascinarla. Con essa so parlare ad ogni lingua.

    la memoria

    dappertutto ho trovato i miei antenati nei metaforici racconti degli anziani fertili di sogno e di leggende che ho sempre riascoltato uguali. Sono loro che ci hanno insegnato a fissare lo sguardo per vedere i contorni segreti delle cose come bestie che nella notte avvistano la preda.
    Così ho capito che la memoria non è letteratura, ma materia verbale in cui si affonda e che noi, riportandone i precisi innesti originari, ne diffondiamo la risonanza primitiva.

    i simboli della terra

    in ogni terra ho ritrovato i miei segni e ne ho letto i presagi.
    Così ho imparato a diffidare degli dei immortali, incapaci di combattere la mancanza d’acqua, a dubitare di ogni religione, se non insegna almeno a leggere le viscere, a difendere il mio carico sacro dalla mano di ogni celebrante. E a portarlo da solo.

    Dappertutto ho visto gente che non ha più fierezza di zanne, mentre le nuove mitologie che affiorano con rapidità chiedono di starcene seduti davanti allo spettacolo di un presente irresistibile, che dirama messaggi inattendibili generando e alimentando conformismo.
    Normalmente qui mi fermo a sentire in funzione il mio furente motore d’esistenza e anche oggi decifro il punto di vista deviante di quello che sembra un problema e che invece è imprudente coraggio di ‘affamati’ che fa volare via gli avvenimenti da omesse pagine di storia per frammentarli nei racconti di ogni disperazione.
    E sempre troppo tardi sopraggiunge la vergogna per questa circostanza intesa come logica e normale.

    Per questo continuo ancora ad utopico amare l’universo barricato di selvaggia determinazione.

  3. >Caro Alberto,
    Che bello il commento di Lucia!
    Non perchè ti voglio bene e mi piace ciò che fai, ma come darle torto?
    La tua scrittura ha la forza della tempesta.
    Quando accolgo la tua poesia la sento esplodere dentro di me con lampi bianchi, immagini, colpi nel petto e sensazioni nelle viscere.

    Vedremo di fare un altro esperimento insieme…
    Ti abbraccio_
    a presto !

  4. Alberto Masala

    >grazie Edi,
    non vedo l’ora di fare qualcos’altro insieme…
    e d’altronde, come sai, forse sta per succedere…
    magari ad Asuni vieni giù col DAT…

    la mia poesia…
    la forza della tempesta, dici…
    no… è ciò che trasporta ad averla
    io lo rendo solo evidente
    (in fondo è quello il mio lavoro)

    ti abbraccio anch’io
    a.

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