Riporto la notizia e il commento INTERAMENTE da Gianluca Martino (@gianlucamart1) su twitter. Chi scrive è lui. La mia unica considerazione è che se ancora nel mondo esiste il nazismo, oggi uno dei suoi interpreti è il sionismo. E non ci sia qualcuno che stupidamente mi accusa di antisemitismo. Mentre pubblico questo intervento, penso ai miei cari amici intellettuali, scrittori e poeti israeliani e a quelli palestinesi, e soffro ugualmente per tutti loro. Penso a Mahmoud Darwish, poeta che ho nel cuore. RESTIAMO UMANI

LA STORIA DEI 40 BAMBINI DECAPITATI
di Gianluca Martino

Com’è andata realmente la storia dei 40 bambini decapitati e perché la maggioranza dei politici e dei media è un’accozzaglia di razzisti e pressappochisti. La notizia è partita da questi due fenomeni: David Zion e Nicole Zedek.

Il soldato israeliano David Ben Zion, intervistato dalla giornalista tv Nicole Zedek, dice che ci sono i corpi decapitati di 40 bambini. La giornalista, anche lei presente sul posto, invece di verificare, “spara” la notizia alla tv i24 news con il seguente commento: “I palestinesi sono degli animali, ma questo già lo sapevamo”.

La notizia viene ripresa dalla CNN e a ruota da tutti i media del mondo, arrivando a miliardi di persone. Scoppia l’indignazione “I palestinesi vanno puniti. Hanno fatto bene a bombardarli” dicono.

Passano ore e ore ma nessun giornalista pensa di andare a verificare. Un giovane giornalista israeliano, Oren Ziv, twitta timidamente (in sintesi) “Guardate che anch’io sono sul posto, non ho visto bambini decapitati. Qui i soldati e gli ufficiali dell’esercito non sanno nulla”.

Come se non bastasse il danno provocato dai media, scende in campo la classe politica più scarsa e ignorante dai tempi di Romolo Augustolo. La dichiarazione più indecente e pericolosa arriva da Biden che afferma di aver visto e verificato le foto dei bambini decapitati.A New York e altre città USA scendono in piazza per chiedere un genocidio, in India chiedono al proprio governo di intervenire militarmente in Palestina. In Italia, cani rabbiosi della politica e dei media di destra e di sinistra chiedono allegramente la Soluzione Finale.

Intanto veri giornalisti israeliani, come quelli di Haaretz e altri, pretendono le prove, pressano insistentemente lo stato maggiore dell’esercito che comunica di non avere elementi a riguardo. Intervistano il soldato David Ben Zion che ora dichiara di non aver visto personalmente i corpi decapitati ma che gli è stato riferito da alcuni commilitoni a lui sconosciuti.

Scoprono che il soldato è un fanatico estremista di destra, fomentatore d’odio che da anni incita, anche sui social, allo sterminio dei palestinesi.

Il danno è ormai irreparabile. Come se non bastasse l’avvio del genocidio interno, si registrano numerosi casi di aggressioni a palestinesi residenti in occidente, mentre i media italiani continuano senza pudore a dare la notizia falsa omettendo di rettificarla.

Questa è la foto più apprezzata e diffusa sui social in questi giorni. La Soluzione Finale può proseguire senza intoppi, i suoi cantori a gettone di presenza hanno lavorato senza sosta e questi sono i frutti.

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Ho tradotto un articolo di Brahim Senouci, blogger, giornalista e saggista algerino, per avere qui una voce “altra”, con parametri non dettati dall’Occidente. Mi pare davvero molto interessante e chiarificatore il parallelo con la nascita del colonialismo. Ringrazio l’autore. Buona lettura.
E, per chi volesse, qui l’articolo originale in francese.

Israele è il nuovo Cortés, incaricato far rispettare la legge dell’Occidente su questa terra ripulita della sua popolazione col massacro o l’addomesticamento. Essere solidali con la Palestina oggi, significa battersi contro questa prospettiva e sostenere una democrazia mondiale nella quale l’uguaglianza fra gli uomini, tutti gli uomini, divenga la regola…

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Nel 16mo secolo, la potenza spagnola è al suo apogeo. Le sue navi attraversano l’Atlantico, conquistano l’Eldorado americano, e fanno man bassa delle straordinarie ricchezze che contiene. Le popolazioni indigene facilitano il loro lavoro. Loro non conoscono le armi e, a dispetto del loro numero, finiscono per sottomettersi ad un piccolo distaccamento spagnolo condotto da Hernan Cortés.

Dei coloni s’installano in quelle regioni e accumulano fortune considerevoli ricavate dallo sfruttamento di terre immense e da una manodopera costituita da schiavi poco inclini a ribellarsi.

I nuovi padroni ne approfittano per infliggergli lavori estenuanti, esercitare su di loro sevizie sessuali e torture che possono arrivare fino all’uccisione.

Ci sono anche degli Spagnoli che si commuovono per la sorte di quei poveretti e che vanno a lamentarsi con la Chiesa. In propria difesa, i coloni sostengono che, a fronte dei loro costumi «barbari», quegli indigeni non meritano d’appartenere alla specie umana e che, per questo, è lecito trattarli come semplici animali. Sorge un dibattito che sfocia nella famosa controversia di Valladolid. Vengono sono interpellate numerose personalità, religiosi, filosofi. È così che nel 1550 ha luogo quello che la Storia riterrà come il primo dibattito sui diritti dell’uomo.

La questione posta è semplice: «Gli Indiani hanno un’anima?». Il confronto si cristallizza rapidamente tra padre Bartolomé de Las Casas e Ginés de Sepúlveda, amico di Hernan Cortés, canonico di Cordoba. La tesi di quest’ultimo è semplice: Dio ha dato alla Spagna dei regni inferiori su cui estendere il suo potere per la propria gloria. In questo contesto, gli Indiani sono «animali» nati per stare sotto il giogo degli Spagnoli. Dall’altro lato, padre Bartolomé de Las Casas, 27 anni, chiede rispetto per la loro dignità, arrivando fino a contrastare giuridicamente i conquistadores e imporre loro un territorio protetto, senza schiavi, senza violenza. E vince la scommessa! Il destino degli Indiani è così un pochino raddolcito. Tuttavia, devono convertirsi al cristianesimo con la forza.

L’epilogo della controversia è molto più scuro. I coloni, avendo perso la massa di operai docili e schiavi alla loro mercé di cui disponevano, si mettono alla ricerca di «carne fresca». L’Africa gliela fornisce. È così che nasce il sinistro commercio triangolare, tragedia dei Neri che ha arricchito trafficanti senza scrupoli, la cui fortuna è esposta negli splendide dimore di Nantes e Bordeaux, palazzi i cui frontoni sono adornati, ancora oggi, da una «testa di negro»…

conquistadores

È TANTO LONTANO IL 16mo SECOLO? LE COSE SONO MOLTO CAMBIATE DA ALLORA… DAVVERO?

Certo, la schiavitù e le conversioni forzate sono scomparse. Gli indigeni di ieri vivono in grande maggioranza in paesi liberi. Gli Occidentali infatti hanno finito per sottomettersi alla volontà d’indipendenza dei popoli che hanno per lungo tempo asservito. È chiaro, tuttavia, che questa nuova configurazione del mondo non ha portato al diffuso benessere economico, resta più o meno circoscritta alla sfera occidentale. Soprattutto, la liberazione dei popoli è rimasta in larga misura teorica. La maggior parte di loro sono ancora in un testa a testa impari con le ex potenze coloniali che continuano a dettare le loro linee politiche e persino influenzano la scelta dei loro leaders! L’esempio di Françafrique la dice lunga sulla artificialità dell’indipendenza di molti paesi africani e sul mantenimento della loro subordinazione nei confronti degli interessi degli ex dominatori. Se necessario, all’Occidente non ripugna ricorrere alla buona vecchia diplomazia delle cannoniere. Spesso si fa in nome di principi morali che ci spiega essere fondamento della sua politica. Si tratta, proclama, di cacciare dei dittatori e di offrire a dei popoli asserviti la prospettiva di un orizzonte di libertà e di democrazia. il risultato di questo interventismo è là, sotto i nostri occhi. L’Iraq e la Libia si liquefanno sotto lo sguardo indifferente dei loro «salvatori». L’effetto domino si propaga fino alla Siria, votata senza dubbio a trasformarsi in un conglomerato di sultanati regionali in incessante stato di guerra …

medioriente

Scartiamo l’ipotesi di un accecamento dell’Occidente che l’avrebbe condotto a disconoscere gli effetti dei propri interventi. Sarebbe come accreditargli una dose d’imbecillità senza nesso con la realtà. Scartiamo allo stesso modo la tesi di una buona azione che degenera in effetti perversi. Chi potrebbe immaginare che Blair e Bush, perdendo il sonno a causa della situazione del popolo iracheno gemente sotto lo stivale di Saddam, siano arrivati a mentire spudoratamente per poter volare in suo soccorso? Questa guerra condotta contro l’Iraq è una dimostrazione della realtà del paradigma occidentale, che subordina il futuro del mondo al suo esclusivo interesse. Poco importa che interi popoli siano coinvolti nella tempesta, poco importa che centinaia di migliaia di bambini muoiano per gli effetti del lungo embargo che ha preceduto l’invasione dell’Iraq, poco importa che il futuro stesso della Terra sia compromesso da un inquinamento disastroso generato da uno stile di vita follemente consumistico. La supremazia dell’Occidente deve essere mantenuta a qualunque prezzo. Non si accontenta di far cadere i proiettili. Riveste le proprie truppe di un discorso morale, democratico, di rispetto dei diritti umani. Vuole conservare non soltanto la sua superiorità militare ma anche il monopolio dell’universalismo. I valori che promuove, affrancandosene, sono valori universali. Non ce ne potrebbero essere altri. La «comunità internazionale», è lui. Il resto del mondo non è che un fornitore di materie prime, di manodopera a buon mercato, presidiato da governanti disponibili e attenti ai desideri di colui che gli assicura di mantenerli sul trono. Ecco dunque l’immensa zona grigia alla quale apparteniamo, nella quale coloro che presiedono ai nostri destini non rispondono al proprio popolo, ma a coloro ai quali devono la loro posizioni. Riguardo all’Occidente, c’è un «loro e noi». Loro, sono quelli la cui umanità è discutibile, o negata. Anche questa negazione fa parte della matrice occidentale. È grazie a ciò che li ha potuti massacrare su larga scala, e torturare, senza che la propria coscienza e l’inossidabile fede in se stesso ne siano significativamente alterate. Massu, il Massu della battaglia d’Algeri, spiegava che la tortura sarebbe stata possibile solo per il fatto che i soldati che la praticavano avevano fra le mani non degli esseri umani ma dei «bicots», dei «ratons», dei «bougnoules»[1]. Consideriamo che la Repubblica francese non ha avuto bisogno di modificare la sua costituzione per instaurare il codice nero in Africa o il codice nativo in Algeria. Le popolazioni che li subivano formavano il «corpo d’eccezione», composto da soggetti che non hanno vocazione ad essere dei cittadini. Questa attitudine non veniva da una minoranza razzista. Era condivisa dalla maggioranza degli artisti, intellettuali, personalità politiche dell’epoca. mai rivisitata, mai formalmente rimessa in causa, la matrice essenzialista continua ad essere la bussola dell’Occidente!
palestina-perdita-terraGaza ne fornisce oggi una nuova illustrazione. Tutto è stato detto sull’orrore che conosce questa piccola striscia di terra, sottomessa a un blocco inumano da 8 anni. Non c’è bisogno di aggiungere nulla, tranne qualcosa di essenziale. Tutto il mondo ha costatato il sostegno unanime dell’Occidente ad Israele, o piuttosto la reiterazione di questo sostegno che dura in realtà da quando Israele esiste. Tutto il mondo ha constatato la singolare mancanza di empatia dell’Occidente con le vittime palestinesi, le scarsa sensibilità davanti alle morti di bambini o di neonati. A volte scivola una parola di compassione, ma seguita immediatamente da un reportage fortemente empatico con la «sofferenza» degli Israeliani che non possono stare tranquillamente su una spiaggia, darsi al surf o alla degustazione di gelati. È la matrice essenzialista che parla. I Palestinesi non hanno ontologicamente gli stessi diritti dei loro carnefici. La loro morte è nell’ordine delle cose. Quella degli Israeliani al contrario fa scandalo. Le barriere politiche cessano d’essere rilevanti quando l’essenziale, cioè la preminenza del «Noi» sul «Loro», è in gioco. La sinistra di governo francese vola in soccorso dell’estrema destra israeliana. Obama, Merkel, Hollande, Cameron, e la quasi totalità di dirigenti occidentali, ad eccezione di alcuni paesi come la Svezia o la Norvegia, dimentichino le loro divergenze per comunicare nel loro amore per Israele. Dimenticano perfino di tentare di cambiare differenziando le loro infiammate dichiarazioni dalla solfa abituale sulla necessità di trovare un accordo. Hollande arriva anche ad accusare Hamas di far naufragare il processo di pace.. Nessuno ha avvertito che non esisteva più?

Obama e Netanyahu

Che l’Occidente getti alle ortiche il suo discorso morale abituale a vantaggio della difesa incondizionata di un dei suoi non sorprende. Lo farà sempre di più, man mano che la sua leadership fin qui incontestata farà delle crepe con l’arrivo di nuovi attori. Plus desolante, invece, è l’attitudine di alcuni nostri compatrioti (algerini) che adottano gli argomenti favoriti dei sionisti. E denunciano come l’antisemitismo sarebbe ciò che alimenta le manifestazioni contro il massacro di Gaza. Allo stesso modo, insorsero contro una sorta di solidarietà automatica con la Palestina che si esercitasse a scapito del sostegno per il popolo siriano, dell’aiuto ai berberi mozabiti di Ghardaïa e, più in generale, li distogliessero dalla lotta per instaurare la democrazia nel nostro paese. Cukierman e Prasquier, dirigenti del CRIF, non dicono altro. Loro sono in pieno servizio. I nostri, invece, malgrado la loro evidente buona fede, giocano contro il loro campo. È abbastanza strano, visto le immagini atroci di corpi smembrati di bambini, immaginare che non sia contro questi assassini che i manifestanti gridano la loro collera ma che lo facciano per un antisemitismo che sarebbe inscritto nei loro geni. Questo si chiama “processo alle intenzioni” particolarmente mal riuscito dal momento in cui popolazioni senza difesa sono sotto le bombe. Ci sono anche quelli che adottano come proprio la barzelletta di “scudi umani” di cui si servirebbe Hamas per proteggersi. È l’argomento favorito d’Israele… serve a giustificare i crimini che sta commettendo. Un’altra lamentela ricorrente: “Se gli Algerini sono solidali con i Palestinesi, è per un riflesso tribale arabo-islamico”. Perché dovremmo impedirci di solidarizzare con un popolo col quale abbiamo tante cose in comune? Perché dovremmo obbedire alle ingiunzioni di chi ci ordina di disfarci di questi «arcaismi» che ci portano verso coloro che ci somigliano, soprattutto se la giustizia è dalla loro parte? Gli autori di queste critiche hanno qualcosa da ridire sul fatto che 26 dei 27 paesi dell’Unione Europea hanno voluto includere la dimensione cristiana dell’Europa nel progetto di Costituzione? Trovano normale che la Turchia, sebbene laica, sia dichiarata non gradita nell’UE perché musulmana? Niente da dire sulla solidarietà fra paesi ortodossi o fra paesi cattolici? Ultima cosa per coloro che rimproverano ai manifestanti il loro tropismo palestinese: li invito a leggere l’opera di Alain Gresh «Da cosa viene il nome della Palestina?». Vi si ritrovano le ragioni della centralità della causa palestinese, che oltrepassa la semplice questione del condividere alcuni ettari di terreno, e che ha molto a che fare con la mappa del Medio Oriente che viene ridisegnato davanti ai nostri occhi nel sangue dei bambini in Siria.

espansione

I problemi sono generalmente gli stessi del 1550. Per l’Occidente si tratta di riaffermare la propria supremazia, in un momento in cui è contestata. La regione più sensibile è questo vicino Medio-Oriente dispensatore generoso di petrolio. È dunque là che il ferro viene riscaldato e che, a grandi colpi di forbice, si fanno sparire dei paesi vecchi come il mondo. Senza scrupoli. I milioni di vittime, dirette o indirette, sono arabi o simili, «bougnouls», una specie inferiore che non vale la pena di trattare coi guanti.

Israele, fin dalla sua nascita, si è definita come una «cittadella avanzata della civilizzazione». È il nuovo Cortés, incaricato di far regnare la legge dell’Occidente su questa terra che avrà in precedenza spogliato della sua popolazione col massacro o l’addomesticamento. Essere solidale con la Palestina oggi, significa battersi contro questa prospettiva e impegnarsi per una democrazia mondiale nella quale l’uguaglianza tra gli uomini, tutti gli uomini, diventerà la regola….

dal blog di Brahim Senouci (Le Quotidien d’Oran, 24 luglio 2014)

 

[1] “capretti”, “topolini”, “piccoli carbonai”. Tutti dispregiativi per indicare i nordafricani.

 

   Questo testo può apparire debole e rinunciatario – ma rappresenta la mia condizione di impotenza attuale rispetto a come l’occidente sta gestendo l’arroganza e la falsità delle tesi israeliane: un regime teocratico e sanguinario, violento e determinato allo sterminio, che non ha nessuna opposizione da parte dei governi “occidentali”. Davanti a ciò che succede a Gaza sono disperato e impotente: oggi non potevo scrivere un testo differente da questo, anche se avrei voluto farlo.

scarica il testo in italiano

   This text may appear weak and renunciative – but it represents my current state of helplessness with respect to how Western civilization is managing the arrogance and falsity of the Israeli thesis: a theocratic bloody regime, violent and determined to exterminate, which has no opposition on the part of  Western governments. Before what is happening in Gaza I’m desperate and helpless: today I couldn’t write a text different from this one, even if I wanted to. 

download the text in English
translated by Jack Hirschman

Alberto Masala: testo e voce
Marco Colonna: clarinetto basso e FX

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 questo film racconta la terribile storia del sionismo molto bene

The zionist story sottotitolato in italiano

Un film indipendente di Ronen Berelovich è la storia del sionismo e dell’applicazione pratica di questa ideologia nella creazione dello stato di Israele. La pulizia etnica, il colonialismo e l’apartheid usati verso la popolazione palestinese per produrre uno stato ebraico demograficamente “puro”. Ronen Berelovich è un cittadino israeliano e ha fatto anche parte dell’esercito israeliano come riservista, esperienza che gli ha mostrato l’occupazione in prima persona.