a quelli che pensano che tutto si possa comprare…
a quelli che invece resistono…
a quelli che parlano d’arte…
a quelli che dicono di fare arte…
a quelli che vanno a tutti i vernissages…
a quelli che guardando l’arte pensano “com’è rivoluzionaria”…
a quelli che “la creatività”…
a quelli che “io sono un artista”
o peggio “io sono un giovane artista”…
ai “curatori” che cercano di “curare” l’arte da tutto ciò che possa infastidire…
il mural di blu al Moca di Los Angeles

Da sempre medito, parlo e scrivo sulla funzione dell’arte nel contesto sociale contemporaneo. Senza tanti giri di parole, la sorte dell’opera di BLU a Los Angeles è esemplare per chiarire qual’è il rapporto fra la gestione di sistemi di controllo sociale e le voci “altre”.

Il sistema – che qui per comodità chiameremo MOCA, ovvero Museum of Contemporary Art di Los Angeles – vista la fama del nostro amico, gli commissiona un’opera senza considerare per cosa e perché lui è così famoso.

Pensando di poter comprare tutto, e con la lungimiranza di cui sono sicuramente dotati i curatori americani o di qualsiasi altro posto – tranne quasi tutti quelli italiani, universalmente noti per la loro vigliaccheria e la propensione all’arte che conviene, tranquillizzante e decorativa – ingaggiano chi oggi agisce in evidenza, chi mostra genialità, quelli che loro chiamano, con un termine orribile e carico di superficialità, i creativi.

Ma è un tentativo che spesso si ritorce contro la visione dell’arte di cui sono fautori. Un’arte pacificante che, appiattendo tutto, conforta una società repressiva che, per chiamarsi democratica, ha bisogno di affidare alla rappresentazione che ne fanno gli artisti in una specie di psicodramma collettivo il concetto fondante (e sempre fittizio) della loro democrazia: la libertà. Qui siamo liberi, vedete? Si può parlare di qualsiasi cosa… scordandosi di aggiungere un concetto funzionale: “purché gestibile”.
Con la maggior parte degli artisti gli va bene: loro tacciono, fingono, sono complici, lavorano insieme sulla produttività dello ‘scandalo’ e, nonostante Benjamin e Debord ne avessero già smascherato i meccanismi quaranta o cinquant’anni fa, ne gestiscono i ritorni economici e mediatici.
Loro ottengono di confortare il sistema con ‘circenses di qualità’ gli artisti guadagnano bene e, soprattutto, guadagna ancora meglio il loro EGO: li fanno entrare nel meccanismo della gloria e della fama…

Ma qualche volta gli va storta, specialmente se fanno il passo più lungo della gamba rivolgendosi a quelle ‘arti pericolose’ come la street art, che, per sua stessa definizione, non accetta di essere deportata in quei leccatissimi lager del pensiero artistico che oggi sono i musei, e né tantomeno di essere ridimensionata a pop art.

Ecco un bell’articolo con tanti links che racconta delle disavventure di Jeffrey Deitch, lo sprovveduto curatore del MOCA che, da ex mercante d’arte discutibilmente assurto a gestore di pensiero, credeva, come molti anche qui in Italia, che tutto ha un prezzo.

Finché poi ha incontrato BLU che l’ha fatto pentire…

Da qui gli mando un abbraccio riconoscente.
Grazie per tutti noi, Blu.
E RIPARLIAMO D’ARTE

4 gennaio: aggiornamento

Con un intervento di solidarietà degli street artists di Los Angeles, fra cui Joey Krebs, noto come The Phantom Street Artist, e dell’artista Chicano Leo Limon, veterano della guerra in Vietnam, il discorso iniziato da Blu va ancora avanti ottenendo così ulteriore visibilità e quindi ancora maggior effetto. Poveri censori: è la storia che si ripete rimettendoli spietatamente sempre davanti alla loro stessa stupidità.  Ecco qui l’articolo con le foto addirittura sul Los Angeles Times. Qui sotto il video.


Downtown LA BLU MOCA Whitewash Protest // 01.03.2011 from jesse trott on Vimeo.

 

L’Aquila chiama Italia
perché la ricostruzione dopo 18 mesi di promesse è FERMA.

L’Aquila chiama Italia
perché aumentano solo disoccupazione e cassa integrazione.

L’Aquila chiama Italia
perché chiede una legge organica sulla ricostruzione: fondi certi, restituire le tasse come è stato fatto per altre emergenze

l’Aquila chiama Italia
perché già oggi stiamo ripagando i mutui sulle nostre case ancora distrutte

L’Aquila chiama Italia
Perché ogni problema non può essere affrontato come un’emergenza da commissari straordinari

L’Aquila chiama Italia
Perché nel nostro Paese si investano risorse pubbliche sulla prevenzione e messa in sicurezza del territorio per evitare altre tragedie

L’Aquila chiama Italia
Perché alcune persone non possano più ridere sulle nostre tragedie pensando ai loro profitti

L’Aquila chiama Italia
perché la crisi economica e le politiche scellerate costringono i nostri giovani ad abbandonare il loro territorio

L’Aquila chiama Italia
Perché prevalga la solidarietà contro un federalismo egoista che non vuole trovare risorse necessarie per la ricostruzione

L’Aquila chiama Italia
Perché la nostra Città è un Bene Comune di Tutto il Paese

L’Aquila chiama Italia
Perché i cittadini possano finalmente partecipare alla scelte che riguardano la loro vita.

L’Aquila chiama Italia
Perché tutto il Paese ha la responsabilità storica di non far morire una delle maggiori città d’arte

L’Aquila chiama Italia
Perché ci stanno TOGLIENDO IL FUTURO.

Gli aquilani vivono amplificati, nell’epicentro della crisi, gli stessi problemi che assillano tutti i cittadini italiani

da qui lanciamo un appello a tutti quelli che ci sono stati vicini:

ai vigili del fuoco, alla base del volontariato della protezione civile, ai sindaci e rettori della regione, agli studenti delle università, a tutti quelli che nel nostro paese lottano in difesa dei propri territori, i lavoratori, gli insegnanti, i precari che ogni giorno si battono per i propri diritti, a tutte le forze sindacali e sociali, agli imprenditori, al “popolo delle partite iva”, al mondo dell’associazionismo e del volontariato, a chi crede che le cose possano e debbano cambiare con la partecipazione attiva dei cittadini.

Non è un problema locale, per la crisi economica non si possono sacrificare i nostri diritti. Figuriamoci un intero territorio.

VI ASPETTIAMO TRA LE NOSTRE MACERIE UNITI SOTTO LA BANDIERA NEROVEDERDE SENZA SIMBOLI DI PARTITO